ALBERTO TRENTINI, 10 MESI nelle carceri venezuelane
- La Porta di Vetro
- 14 set
- Tempo di lettura: 2 min

Dal 15 novembre scorso, cioè da 10 mesi, esattamente oggi, Alberto Trentini è rinchiuso nel carcere di El Rodeo I, poco distante da Caracas, capitale del Venezuela. Non si può dire che la sua drammatica vicenda sia poco nota. Anzi. Negli ultimi mesi si sono intensificati appelli accorati e manifestazioni pubbliche che ne chiedono la liberazione e molteplici sono state le sollecitazioni dei suoi famigliari al governo italiano, ultima quella della madre Armanda, affinché Palazzo Chigi intervenga con la necessaria decisione per porre fine a questa storia assurda, senza senso, trascinata avanti forse per quella tipica inerzia che non di rado si impossessa dei prepotenti, forti del fatto di potersi permettere qualunque cosa a danno dei più deboli, persino di dimenticarsi perché li vessano e li umiliano.
Alberto Trentini è stato privato della libertà, ma non se ne conoscono le ragioni, dopo essere arrivato il 17 ottobre 2024 in America Latina per aiutare il popolo venezuelano attraverso la ONG per la quale lavora. In carcere è diventato più vecchio di un anno, ora ne conta 46, e ha compreso che nella speranza che altri si muovano rapidamente per aiutarlo, deve contare soprattutto su sé stesso, sulla sua capacità di resistenza fisica e psichica. Non è un'impresa, ma l'impresa che noi possiamo provare soltanto ad immaginare, cercando in questo modo di stargli accanto e di favorire il messaggio che il suo Paese è indisponibile ad arrendersi, e che il quotidiano pensiero di milioni di persone diventi la più pacifica arma di pressione per la sua liberazione.
La situazione internazionale non è però incoraggiante. Da fine agosto, gli spazi per la diplomazia "ombra", compresa anche quella di organizzazioni umanitarie, si sono ulteriormente ridotti con il dispiegamento militare nelle acque meridionali dei Caraibi ordinato dal presidente americano Trump per combattere il traffico di droga nella regione. Traffico gestito da cartelli che per l'amministrazione Usa sono diretti dal presidente venezuelano Nicolás Maduro e dal suo esecutivo.
La forza aeronavale americana non è di facciata. I numeri sono aggressivi: il Pentagono ha dispiegato sette navi da guerra che trasportano elicotteri da combattimento e aerei da ricognizione. Nel mare dei Caraibi navigano la USS Iwo Jima, la USS San Antonio, la USS Fort Lauderdale, e i cacciatorpediniere USS Jason Dunham, USS Gravely, USS Lake Erie e USS Sampson. A bordo vi sono anche 4.500 marines e la flotta è seguita da un sottomarino d'attacco a propulsione nucleare. Il presidente Maduro, che ha definito la presenza di navi straniere un "nuovo tentativo di pressione per forzare una transizione politica" nel Paese ha disposto il dispiegamento di 4,5 milioni di miliziani.
Intanto, come segnala oggi il quotidiano on line El Nacional, anche una nave olandese naviga sul limite delle acque territoriali venezuelane, mentre la Francia, giorni fa, ha inviato altre navi nei suoi territori oltremare di Guadalupa e Martinica, sempre nell'ambito di una strategia di cooperazione internazionale contro il traffico di droga. Nuovi focolai di tensione internazionale che rischiano di alimentare pericolosamente il disinteresse per la sorte di Alberto Trentini.













































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