A Roma per la Pace e per fermare l'abominio a Gaza
- Vice
- 23 ore fa
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Aggiornamento: 13 ore fa
di Vice

Oggi, sabato 7 maggio, il giorno della manifestazione per Gaza a Roma coincide con il 610° giorno di una guerra che si è trasformata in un massacro permanente della popolazione palestinese, alla quale - come scriviamo ripetutamente da tempo - non è per nulla interessata a discussioni da salotto o accademiche sull'esistenza o meno di un genocidio. Con la morte dietro ogni angolo, l'unico interesse degli abitanti della Striscia di Gaza è sperare che l'angolo in cui si svolta sia quello giusto.
La guerra è un'altra cosa. Sarebbe opportuno ricordarlo e tenerlo a mente. Non sempre è combattuta alla pari, ma tendenzialmente prevede lo scontro tra eserciti organizzati. Al contrario, lo Stato di Israele, nazione sulla carta democratica, da 610 giorni ingaggia uno spietato "confronto" militare che si riversa su civili inermi, il cui contrasto con le armi è pari allo zero. Il risultato di queste operazioni condotte con le migliori e avanzate tecnologie di cui dispone l'apparato industriale-militare dello Stato di Israele, cui il criminale Netanyahu offre con zelo ilare nome biblici, ha provocato almeno 55 mila morti, oltre 125 mila feriti (cifre fornite dal ministero della Sanità di Gaza), fame e malattie, e ferite collettive non ancora visibili e quantificabili con la calcolatrice, ma che inevitabilmente stratificheranno odi e desiderio di vendetta generazionali nei prossimi anni.
E' il "nettare", ma non soltanto dal 7 ottobre, quando nella sua azione terroristica Hamas ha ucciso 1.139 persone e ha prese in ostaggio oltre 200, su cui conta chi comanda in Israele per assicurarsi una rendita politica presente e futura, i cui interessi maturano con il rifiuto del riconoscimento dello Stato Palestinese, con la costruzione di un sistema di apartheid e con l'occupazione progressiva della Cisgiordania da parte dei coloni israeliani ai danni degli agricoltori palestinesi che si vedono rubare la terra e sradicare ulivi e alberi da frutto.
A Roma sono attese 50 mila persone, in movimento dalle 14 da piazza Vittorio verso piazza San Giovanni, che danno corpo e peso sociale alla mozione unitaria presentata in Parlamento che sollecita il cessate il fuoco immediato, la fine dell'occupazione israeliana, la sospensione dell'invio di armi a Israele. E' una mobilitazione popolare che risponde all'appello del centro sinistra, forse tardivo nella sua timidezza iniziale, comunque importante per fare uscire il nostro Paese dall'ambiguità e dall'impaludamento che la critica allo Stato di Israele equivalga a dare voce e forza all'antisemitismo. Il rispetto, l'attenzione e l'amicizia per il popolo ebraico non sono e non saranno mai valori negoziabili. In discussione è la politica fuori controllo del governo Netanyahu che ogni giorno produce un crescendo di paure e divisioni nel mondo, che a sua volta si interroga non soltanto su come fermare la violenza che sta "neutralizzando" il popolo palestinese, ma come si sia arrivati a "normalizzare" quella stessa violenza come epifenomeno. Una situazione inconciliabile per la convivenza civile tra i popoli.
Perfetta, però, nella visione di Netanyahu e sodali che anche questa mattina hanno ordinato all'IDF di aprire il fuoco, come denuncia al Jazeera, su un gruppo di persone che attendevano di essere curate a punto di soccorso ad al-Akhawah, vicino a Rafah, nel sud di Gaza. Il bilancio è di almeno cinque palestinesi uccisi, il che ha portato a 24 il computo totale dei morti nelle ultime 24 ore. Non rimane che sperare che sia profetico (in senso politico, ovviamente) l'ultimo titolo di Haaretz a un articolo di Amos Harel: Il divario tra l'opulenza di Netanyahu e la sofferenza delle truppe potrebbe finalmente farlo morire.
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