L'Editoriale della domenica. Da uno scoperto militarismo agli interessi delle multinazionali
- Gianni Alioti
- 20 lug
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 20 lug
di Gianni Alioti

Avvenimenti recenti e non, di cui si parlerà nelle righe che seguono, impongono la riproposizione del tema del riarmo europeo. Tema caldo. Anzi caldissimo. E non soltanto per le evidenti conseguenze del cambiamento climatico, ma per la crescente retorica militarista che pervade la maggioranza dei leader dei paesi europei e la nomenclatura politica al comando delle istituzioni della UE e della NATO.
Tutto fa presagire il peggio e non soltanto per i conti pubblici. Ultimo, in ordine di tempo, il discorso del presidente francese Emmanuel Macron nel tradizionale discorso alle Forze armate alla vigilia della festa nazionale del 14 luglio. Ha confermato (nonostante il debito vertiginoso) che il livello delle spese militari sarà elevato nel 2027 a 64 miliardi di euro, il doppio del bilancio di cui le forze armate francesi disponevano nel 2017, al suo arrivo all’Eliseo. Le spese militari in Francia previste per il 2025 superano già i 50 miliardi di euro.
Non è da meno il Cancelliere tedesco Friedrich Merz. Nel giorno del suo insediamento ha affermato che la massima priorità del suo Governo era quella di costruire l’esercito più potente d’Europa. Promessa non inedita per la Germania... È stato di parola. A giugno di quest’anno il Governo tedesco ha approvato sia il bilancio 2025, portando le spese militari a 94 miliardi di euro pari al 2,4% del PIL, sia il piano finanziario a medio termine per circa 500 miliardi di euro, prevedendo un forte aumento del debito netto tra 2025 e 2029, allo scopo di sostenere il potenziamento militare della Germania.
In soldoni un incremento della spesa militare del 70% entro il 2029, per portarla a 162 miliardi di euro l’anno (3,5% del PIL rispetto a 1,6% del 2024). Non semplice da far digerire a un’opinione pubblica, cosciente dei corrispettivi tagli a sanità, istruzione, welfare. Per farli accettare si evoca lo spettro della guerra con la Russia. Ignorando storia, diplomazia e realtà geopolitica.
Il ritorno di una cultura bellicista
Che il Cancelliere Merz si muova, al netto della retorica, fuori da una reale prospettiva di difesa comune europea (come del resto fanno anche gli altri leader dei principali paesi), lo dimostra il fatto che ha firmato a Londra un trattato bilaterale con il premier britannico Keir Starmer. Trattato che prevede una clausola di assistenza reciproca in caso di minaccia.
Inoltre, va detto che il programma d i riarmo tedesco, alla guida di quello europeo, è sostenuto da un allineamento politico particolarmente inquietante. Coinvolge, oltre al Cancelliere, anche la massima carica dello Stato tedesco e la presidente (tedesca) della Commissione europea. E, aggiungo non senza malizia, anche l’amministratore delegato della multinazionale tedesca Rheinmetall, cioè l’azienda più dinamica, sia nella riorganizzazione del complesso militare-industriale in Europa[1] (Ucraina compresa), sia nell’accaparrarsi le più grandi commesse di armamenti, come quella di 23 miliardi di euro dell’Esercito Italiano per la produzione, in joint venture con Leonardo, di 280 carri armati e 1.050 veicoli corazzati. Echi di un ritorno inquietante alle frenetiche corse agli armamenti di inizio Novecento e anni Trenta, preludi della Grande Guerra e della Seconda guerra mondiale?
In effetti, non solo le ingenti risorse dei singoli Stati spese in nuovi armamenti hanno moltiplicato il portafoglio ordini e i ricavi dell’azienda, ma hanno “garantito” la sua capitalizzazione finanziaria in Borsa. Con la guerra ad alta intensità in Ucraina, il valore di un’azione Rheinmetall è schizzato dai 90 euro del gennaio 2022 ai 1.871 euro del 14 luglio 2025. Un incremento che sfiora il 2.000%.
Un’evidente certificazione di quanto scritto da Maurizio Boni sulla rivista Analisi Difesa: “[…] c’è anche il sospetto che il nuovo militarismo del Ventunesimo secolo sia alimentato, oltre che da indubbie radici culturali, anche da un fattore molto più potente dell’ideologia: gli interessi delle multinazionali che vedono nel militarismo, e del conseguente riarmo, non solo della Germania, un’occasione irripetibile per accrescere i propri profitti. Il fatto che il Cancelliere Merz sia stato il Presidente del Consiglio di Sorveglianza di BlackRock Deutschland, la filiale tedesca del colosso statunitense, una delle più grandi società di gestione patrimoniale del mondo, non ci incoraggia affatto”[2].
In dieci anni spese militari raddoppiate
E BlackRock non è solo una grande società di investimento con sede a New York, con un patrimonio totale di 10 mila miliardi di dollari (al 31 dicembre 2023), di cui un terzo in Europa. Ma è tra i principali azionisti sia delle 5 big al mondo per fatturato militare (Lockheed Martin, RTX, Northrop Grumman, Boeing e General Dynamics), sia della tedesca Rheinmetall, delle britanniche BAE Systems e Rolls-Royce, dell'italiana Leonardo, della trans-europea Airbus, della ucraina JSC e di altre aziende europee che operano in campo militare.
Sulla corsa al riarmo in Europa e la correlazione tra il programma ReArm Europe e obiettivo deciso in ambito NATO di spendere in spese militari + “sicurezza allargata”, ho rilasciato un’intervista a Settimana News[3], alla quale rimando per quanti fossero interessati a capire la dimensione del problema. Per chi volesse approfondire l’argomento dal punto di vista dell’impatto economico-finanziario consiglio l’ottimo articolo di Roberto Romano[4] pubblicato su Effimera.
Concludo questo mio punto di vista critico sul riarmo europeo, tra retorica militarista e interessi delle multinazionali del settore, ricordando (per dovere di cronaca), che la politica di riarmo nei paesi UE e in quelli europei della NATO è ripresa nel 2014 (dopo la flessione causata dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009). In dieci anni le spese militari sono più che raddoppiate, crescendo esattamente del 121% tra 2014-2024 (fonte Consiglio Europeo). Ciò che cambia, quindi, non è tanto il trend, quanto la narrativa pubblica. Siamo passati, come sostiene Carlo Tombola di The Weapon Watch, dal lungo silenzio mediatico sulla corsa al riarmo iniziata da oltre un decennio alla distorsione del linguaggio durante la pandemia (“nous sommes en guerre”, ripetuto sette volte nel discorso alla nazione dal presidente Macron nel marzo 2020). Fino alla situazione attuale in cui tutto è in funzione della guerra inevitabile.
Una narrazione bellicista che pare più funzionale a spostare ingenti risorse pubbliche a interessi privati, piuttosto che alla difesa reale. In questa logica si arriva a giustificare al totem del riarmo, persino, il ponte sullo stretto di Messina. E… perché no?, anche i lavori infiniti sulla Salerno-Reggio Calabria.
Sarcasmo a parte, aveva ragione lo storico tedesco Gerhard Ritter (1888-1967) quando scriveva che “Il militarismo è sempre presente là dove viene unilateralmente accentuato il lato aggressivo della politica”[5]. E di esempi di questa “aggressività della politica” purtroppo ne potremmo elencare a iosa.
Note
[1] In partnership con le multinazionali statunitensi Lockheed Martin e Honeywell, la britannica BAE Systems, l’italiana Leonardo e l’ucraina JSC.
[4] https://effimera.org/burro-cannoni-e-nuova-geografia-economica-internazionale-di-roberto-romano/
[5] Gerhard Ritter, I militari e la politica nella Germania Moderna, Einaudi, Torino 1967. Pubblicato in Germania nel 1954.
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