Viaggio nell'Italia insolita e misteriosa...
- Ivano Barbiero
- 14 ore fa
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Aggiornamento: 5 ore fa
La suggestiva festa svedese di Lucia sotto la Mole
di Ivano Barbiero

Non abbandona la sua Torino il nostro viaggiatore reduce dalla serie macabra del Museo dei celebri killer in Galleria Tirrena[1]. Tuttavia, oggi, per l'ultimo appuntamento del 2025, cui segue la pausa natalizia, Ivano Barbiero non rinuncia ancora una volta a stupirci, trasportandoci in una festa anomala, almeno per noi italiani, la cui tradizione per i simboli e la coreografie connessi affonda nel Nord Europa: è la festa svedese di Santa Lucia, ospitata presso la Fondazione Paideia, da oltre trent'anni impegnata nell'aiuto a bambini con disabilità e alle loro famiglie.
Con l'augurio di Buone feste di Ivano Barbiero, ci ritroveremo per i nostri "viaggi insoliti e misteriosi" sabato 10 gennaio 2026.
Una tradizione arrivata dal Nord Europa ha trovato casa, per una sera, anche sotto la Mole. Martedì 9 dicembre, alla Fondazione Paideia di via Moncalvo 1, si è svolta la festa svedese di Santa Lucia – Luciadagen, la celebrazione della luce che ritorna – portando nel cortile e sulla balconata dell’associazione tuniche bianche, candele accese, cori e un’idea semplice e potentissima: la luce come promessa, prima ancora che come decorazione.
A guidare la serata, nel segno di una diplomazia culturale “di prossimità”, la Console Generale Onoraria di Svezia a Torino, Giovanna Ardoino. Un profilo che negli ultimi anni ha legato il ruolo consolare non solo ad eventi formali, ma a luoghi sociali e di fragilità: «Ho lavorato per dare visibilità al Consolato di Svezia anche sul piano culturale e sociale, portando la svedesità in contesti come il Centro Paideia», ha spiegato, ricostruendo una linea di lavoro coerente.

Il cuore della festa è stato il canto. A Torino si sono esibiti i giovani del Coro di Santa Lucia del Conservatorio di Halmstad: voci giovani, repertorio natalizio, la celebre Sankta Lucia e un corteo simbolico che, in Svezia, si svolge spesso all’alba, quando la notte sembra non voler finire. Una giovane “Lucia” apre la processione, con la veste bianca, la cintura rossa e sul capo una corona di cinque candele accese; dietro, compagne e compagni con altre luci in mano. Non è folklore da cartolina: in Scandinavia è un modo per attraversare l’inverno, per nominare l’oscurità e risponderle con un gesto collettivo.
C’è poi un primo, affascinante cortocircuito. In molte zone del Nord Italia Santa Lucia non è (solo) la luce: è anche la notte dei doni. Tra la sera del 12 e la notte del 13 dicembre, in ampie aree della Lombardia e dell’Emilia (Cremona, Mantova, Brescia e Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna) e in diverse città del Veneto, Lucia arriva con l’asinello. I bambini scrivono la letterina, preparano qualcosa per la Santa, una carota o del fieno per l’animale; poi vige la regola d’oro: non bisogna farsi vedere. È una geografia affettiva, più che turistica: per molte famiglie il Natale comincia davvero lì.

E poi c’è Siracusa. Qui Lucia non è un rito simbolico, ma una presenza. Il 13 dicembre è una festa identitaria, segnata da una grande processione e da una partecipazione popolare intensa. Molti devoti seguono il simulacro a piedi scalzi, come gesto di voto o ringraziamento. E c’è il cibo, che diventa racconto storico: la cuccìa, a base di grano bollito, memoria di una carestia e di un arrivo provvidenziale di frumento. Mangiare la cuccìa significa “mangiare la storia” e rinnovare il patto tra la città e la sua santa.
Tre Lucie, dunque. Quella svedese, liturgia laica della luce; quella padana, notturna e domestica, legata all’attesa dei doni; quella siracusana, fatta di fede, voto e memoria collettiva.
Il legame tra la Lucia svedese e Santa Lucia non è diretto, né puramente devozionale. È il risultato di un lungo processo di sincretismo. All’origine c’è Lucia di Siracusa, martire cristiana del IV secolo, il cui nome deriva da lux, luce. Nel cristianesimo mediterraneo è simbolo della luce della fede nelle tenebre e patrona della vista. Ma il punto decisivo, nel Nord Europa, è la data: il 13 dicembre.

Nel calendario giuliano, in uso in Scandinavia fino al XVIII secolo, quella data cadeva in prossimità del solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno. In un contesto segnato da mesi di buio reale, il giorno assumeva un valore simbolico enorme. È qui che la santa mediterranea cambia pelle. Tra Medioevo e Ottocento, in Svezia, la figura cristiana si fonde con credenze nordiche precristiane, riti agricoli di passaggio stagionale e archetipi femminili protettivi legati alla casa e alla soglia. Lucia smette di essere solo una martire del Sud e diventa messaggera necessaria della luce.
Nasce così la Lucia svedese: la veste bianca, la cintura rossa come eco lontana del martirio, e soprattutto la corona di candele. Quest’ultima non appartiene all’iconografia cristiana tradizionale: è un’aggiunta nordica, rituale, performativa. La luce non è solo evocata, ma portata fisicamente nel buio, camminando e cantando. Tra XIX e XX secolo il processo si completa. La celebrazione viene nazionalizzata e assume un carattere identitario. Lucia perde i tratti cruenti del martirio e diventa una figura laico-sacra, portatrice di speranza e comunità. Dal 1927, con le celebrazioni pubbliche di Stoccolma, la festa assume la forma moderna della processione corale.
Resta infine il paradosso più affascinante, quello musicale. La santa è siracusana, il canto è in svedese, ma la melodia è italiana. Santa Lucia nasce infatti come canzone napoletana ottocentesca, composta nel 1835 da Teodoro Cottrau a Napoli. Diventa barcarola, poi canto popolare europeo, infine inno della festa svedese. Un patchwork culturale perfetto: mediterraneo per origine, scandinavo per rito, partenopeo per musica.
Non è folklore da calendario. È una pedagogia lenta della luce. A Torino arriva in punta di piedi, con un coro svedese e una corona di candele; in pianura padana passa di notte, silenziosa, lasciando doni accanto a una carota per l’asinello; a Siracusa cammina scalza tra la folla, accompagnata dal profumo antico del grano bollito. Forse è per questo che Santa Lucia resiste mentre altre tradizioni scoloriscono: non promette miracoli, ma un gesto minimo e condiviso. Una candela accesa proprio quando sembra inutile farlo.
Note













































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