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Una data del nostro presente: 16 marzo 1978

di Michele Ruggiero

La mattina del 16 marzo 1978, un giovedì, come oggi, in via Fani a Roma, si consumava una tragedia, anzi, la tragedia italiana. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, il partito di maggioranza relativa in Parlamento, veniva sequestrato dalle Brigate Rosse. Nell'azione, i terroristi massacrarono gli uomini della sua scorta: il maresciallo Oreste Leonardi, gli agenti Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Quel sequestro e la successiva uccisione 55 giorni dopo di Aldo Moro, il 9 maggio, anticipò un grido che sarebbe echeggiato nel settembre 1982 a Palermo, con l'agguato al prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa: "qui è morta la speranza". In via Fani, morì davvero la speranza degli italiani di concorrere, insieme con una classe politica di prim'ordine, alla trasformazione del proprio Paese. Perché in gioco non vi era soltanto il "compromesso storico", l'incontro tra le forze cattoliche e i comunisti (epilogo della cosiddetta svolta di Salerno perseguita nel 1944 da Palmiro Togliatti, all'epoca capo del Pci) attorno al quale avevano lavorato Aldo Moro, spendendo tutto il suo carisma all'interno della Dc, e il segretario generale del Partito comunista italiano Enrico Berlinguer. Tra i due leader riconosciuti di partiti che alle elezioni del 1976 avevano raccolto oltre il 72 per cento dei voti, vi era la consapevolezza che l'Italia reclamava un cambiamento, un nuovo passo imposto dai tempi, dalla situazione interna (crisi economica e terrorismo) e internazionale.

Moro e Berlinguer sapevano che al compromesso storico si sarebbero opposte forze internazionali e interne intenzionate a mantenere lo status quo (Moro aveva ricevuto più di un avvertimento dall'estero e Berlinguer era stato vittima di un attentato il 3 ottobre del 1973 a Sofia, in Bulgaria), ma che quella era la strada giusta da percorrere anche per trasformare i partiti che guidavano. E di conseguenza, favorire la modernità e il rinnovamento del Paese e della sua classe dirigente, unita alla capacità di dare sostanza e concretezza a parole che cominciavano ad essere usate più come slogan, che come autentica volontà di cambiamento.

Il 9 maggio del 1978, il corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 color rosso, in via Caetani a Roma. Da quel momento, la sua morte è entrata nelle pagine di centinaia di libri, ognuno di essi con una propria tesi; nelle aule giudiziarie con le sentenze di condanna ai terroristi; nelle conclusioni delle commissioni parlamentari d'inchiesta. Ma il Paese sa soprattutto con certezza che quella morte è stata funzionale a chi lavorava per la subalternità dell'Italia agli equilibri internazionali dominanti. Sei anni dopo, l'11 giugno del 1984, moriva Enrico Berlinguer. L'ultima pagina ancora aperta dell'estremo tentativo di costruire un'Italia diversa, che sentiamo ogni giorno sfuggire.

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