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Una battaglia di principio: il contrasto "all'analfabetismo democratico"

Luca Caci

di Luca Caci


Che cosa rimane della Settimana Sociale di Trieste, con cui si è aperto questo mese di luglio, a parte le attenzioni dei media per le personalità di rilievo che vi hanno partecipato, da Papa Francesco al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal Presidente della Cei, cardinale Matteo Maria Zuppi, alla ex guardasigilli Marta Cartabia? Intanto, il numero tondo: cinquantesima edizione, che assicura anche simbolicamente l'anelito a rimanere scolpito nella memoria e, in parallelo, vivifica l'idea di continuità. Parola chiave, quest'ultima, che se non copre interamente la crisi che attraversa il mondo cattolico sulla scia di una crisi di valori e di principi che è su scala mondiale, recupera nel migliore dei modi la volontà dei cattolici, giovani e non, di rimanere protagonisti del proprio destino nella vita politica del proprio paese. Come? Già dal titolo, efficace e quanto cdi più attuale per ciò che percepiamo del nostro quotidiano e nel rapporto con le istituzioni: «AL CUORE DELLA DEMOCRAZIA». Una speranza? Un monito? Sicuramente un quid che è più facile scrivere che concretizzare. Innanzitutto perché è complesso stabilire quale sia il «cuore» della democrazia.

Chi ha scelto il tema, si è preoccupato di suggerire una risposta alla suddetta questione. Infatti il sottotitolo scelto è stato: «Partecipare. Tra Storia e Futuro». Quello che viene offerto è uno spunto centrale: «partecipazione».

La partecipazione è un elemento fondamentale affinché la democrazia possa essere «democratica». Però, è necessaria una partecipazione consapevole. E, forse, troppo spesso ci si dimentica del fatto che la partecipazione alla vita democratica non si può tradurre (e non si deve tradurre) solamente nell’atto del votare. Sarebbe limitativo valutare il grado di salute di una democrazia analizzando le percentuali dei votanti che rispondono alla chiamata alle urne (che, peraltro, sono in costante diminuzione). La partecipazione alla vita democratica è molto più che esprimere il proprio voto (che, comunque, è un dovere civico il cui valore andrebbe riscoperto). Chi pensa che votare sia tutto ciò che è doveroso fare è un «analfabeta di democrazia» (per riprendere la realistica espressione utilizzata dal Presidente Mattarella a Trieste).

Questa forma di analfabetismo (come ogni altra) va combattuta con determinazione. A questo punto occorre domandarsi quale possa essere il ruolo dei giovani in questa battaglia di civiltà. E, poi, ancora: quale quello dei cattolici? Quale quello dei cittadini di buona volontà? A questo proposito, ritengo che una risposta sia stata fornita dal Santo Padre, che è intervenuto al termine della Settimana Sociale. Il Papa ha scelto parole significative, dettando in maniera pragmatica una (o, forse, la) via da seguire. Infatti, ha affermato che non serve a nulla «alzare lo sguardo fino al cielo, se poi non ci si preoccupa di quanto succede sulla Terra». Infatti, ha aggiunto Papa Francesco, toccando una delle questioni che impone un preciso impegno civico «la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va 'allenata', anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche».

Ogni cittadino, ogni giorno, deve occuparsi e preoccuparsi di quanto succede sulla Terra, nel suo Paese, nella sua Città, nel suo Quartiere. Ogniqualvolta ci si preoccupi di quanto accade intorno a sé, si fa un passo in avanti nella costruzione di una comunità. Riscoprirsi comunità è necessario affinché vi sia partecipazione attiva alla vita democratica: questa è la cura migliore per contrastare l’analfabetismo democratico.

Ogni giorno un piccolo passo, con concretezza e senso di responsabilità.

 
 
 

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