Un libro per voi. Nel ricordo di Borsellino: "Stragisti"
- Vice
- 1 giorno fa
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Da Giuseppe Graviano a Mattia Messina Denaro

di Vice
Il prossimo 19 luglio è il trentatreesimo anniversario della strage di via Mariano D'Amelio a Palermo, in cui caddero per mano di Cosa Nostra il giudice Paolo Borsellino insieme con Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, i cinque agenti dediti alla sicurezza del magistrato. Di qui alla data, come ieri [1] ,La Porta di Vetro presenta un libro che direttamente o indirettamente racconta quei fatti di mafia. Ed oggi, 17 luglio, proseguiamo con Stragisti, sottotitolo Da Giuseppe Graviano a Matteo Messina Denaro, Uomini e donne delle bombe di Mafia, scritto dal giornalista di Repubblica Lirio Abbate per Rizzoli.
Il libro di Lirio Abbate è stato pubblicato nell'aprile del 2022, prima della conferma dell'ergastolo ostativo per i condannati al 41 bis e dell'arresto del capomafia latitante da oltre trent'anni Matteo Messina Denaro avvenuto il 16 gennaio del 2023. La precisazione sull'ergastolo ostativo è doverosa per la ferma presa di posizione di contrarietà a qualunque forma di allargamento delle maglie della legge ai mafiosi assunta dall'autore, mentre è altrettanto doveroso precisare che l'epilogo cui giunge la latitanza del boss di Castelvetrano nulla toglie alla ricostruzione sul ruolo decisivo avuto dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e da altri esponenti mafiosi e non, ma per alcuni versi periferici, nelle stragi di Capaci e di via D'Amelio.
Ed è proprio da quest'ultimo attentato che Lirio Abbate sviluppa la ricostruzione degli avvenimenti di quel 19 luglio 1992 e delle successive trame al tritolo di Cosa Nostra contro lo Stato con cui trasferisce poi l'attenzione del lettore sul personaggio principale e indiscusso del libro, Giuseppe Graviano, che nelle sue lettere si firma Madre Natura.
"Imperatore" del quartiere Brancaccio di Palermo, Giuseppe Graviano eredita il "potere" dal padre Michele, unico uomo d'onore di peso e di caratura ucciso dagli antagonisti della fazione vincitrice dei corleonesi, in quella che l'autore considera più una mattanza che la "seconda guerra di mafia", avviata con l'eliminazione di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, e proseguita con centinaia di ammazzamenti nelle strade palermitane a cavallo tra il 1981 e il 1982.
Giuseppe Graviano maneggia miliardi (di lire), ricchezze che gli derivano da molteplici attività lecite e illecite; ama il lusso e lo sfarzo, e gode di una libertà pressoché indisturbata pur essendo latitante da anni. Ma tra i mafiosi non è una novità, nonostante le pesanti sentenze del maxiprocesso. Eppure, ancora in quel drammatico 1992, e lo sarà ancora per tanti anni, l'imperatore di Brancaccio vive nel cono d'ombra dell'anonimato per l'opinione pubblica, i cui "riferimenti" corleonesi restano la "belva" Totò Riina detto "u curtu", il suo sodale "U tratturi" Bernardo Provenzano e il cognato di Riina Leoluca Bagarella e, sul fronte opposto, il grande pentito che ha rivelato i segreti della Cupola mafiosa Tommaso Buscetta.
Paolo Borsellino e la sua scorta si ritrovano nel mirino di Giuseppe Graviano fin dalle pagine iniziali del libro, quando l'autore lo descrive alla ricerca di un appartamento da cui manovrare il telecomando necessario per l'esplosione del tritolo piazzato nella Fiat 126 parcheggiata davanti alla portineria del condominio di via D'Amelio 19. Ricerca destinata al fallimento, ma da cui Graviano spiccica in dialetto palermitano il secondo dei suoi "epitaffi" riservati ai "nemici" di Cosa Nostra: Addubbu nu' iardinu, mi arrangio nel giardino. Il primo l'aveva riservato a Giovanni Falcone, rispondendo indirettamente alle perplessità mostrate dal suo autista di colpire il giudice: Staremo a vedere.
Superate quelle pagine, comincia la storia letta dall'interno, con tutti i risvolti famigliari importanti (madre, fidanzate poi mogli), di Giuseppe Graviano e del fratello Filippo. E' la storia delle stragi riuscite e di quelle non riuscite, della sfida lanciata al Paese, dopo l'arresto del capo dei capi Riina, dell'omicidio di Don Pino Puglisi, dell'irruzione in un ristorante milanese, il 27 gennaio 1994, che decreta la fine della loro latitanza. E, annota Abbate, per effetto transitivo non casuale, anche la fine degli anni di sangue non appena scattano le manette dei carabinieri ai polsi dei due mafiosi.
Ed è una storia che Lirio Abbate offre al lettore riportando indietro più volte le lancette dell'orologio, per poi spostarsi in avanti negli ultimi capitoli e porre più di un interrogativo sul potere mantenuto dalla famiglia Graviano nella "gestione economica", o per chiedersi, per esempio, come i due fratelli, entrambi al 41 bis, siano diventati padri... ad anni di distanza dall'arresto. Un mistero miracoloso. Insieme ai tanti che continuano ad affollare il passato recente e non dell'Italia.
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