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- a cura del Baccelliere
- 15 ore fa
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Con la memoria a Live Aid
a cura del Baccelliere

Ricorrono quarant’anni e non possiamo dire sembri ieri, per una volta. I fasti del Live Aid sono stati festeggiati, ricordati, celebrati con la solennità che si riserva ad un avvenimento che ci sembra molto lontano. Per chi c’era, quel 13 luglio 1985 fu un momento irripetibile. Una Woodstock con nobili scopi. E soprattutto trasmessa in mondovisione. Fra Londra e Philadelphia. Il vecchio e il nuovo mondo. Ci fu uno, Phil Collins, che prese un Concorde e suonò da tutte e due le parti. Bulimia e hybris. Che gli attirarono anche numerose critiche - giustificate - per come accompagnò i Led Zeppelin.
Tutto era nato da un musicista non proprio di prima fila, l'irlandese Bob Geldof, leader dei Boomtown Rats. Aveva visto un documentario sulla carestia in Etiopia, che stava provocando centinaia di migliaia di vittime. Pensò di poter fare qualche cosa e coinvolse i musicisti più in voga del Regno Unito in una canzone natalizia, Do they know it’s Christmas - non esattamente memorabile come molte delle canzoni di Natale. Poi arrivò la corazzata americana. Michael Jackson, Lionel Ritchie e Quincy Jones con il loro Usa for Africa, un progetto capace di riunire il gotha dello show business d’oltreoceano: Springsteen, Dylan, Stevie Wonder, Diana Ross, Ray Charles e molti altri.
Il dado, come aveva detto qualcuno attraversando il Rubicone, era gettato. Si scatenò una gara di solidarietà. E con l’estate arrivò questo evento planetario. E tutto il mondo fu coinvolto grazie alla ripresa televisiva, dalla California alla Siberia. Non mancarono le polemiche. Gli artisti africani furono relegati a ruoli marginali. L’evento fu accusato di spettacolarizzare la tragedia. Innegabilmente contribuì a raccogliere fondi e soprattutto ad accendere i riflettori sull’Africa. Altrettanto innegabilmente gli artisti che vi parteciparono ne ebbero un grande ritorno in termini di pubblicità. Bob Geldof fu travolto e la sua carriera musicale, già non fortunatissima, praticamente si interruppe. L’operazione recava in sé alcune contraddizioni, da quelle legate alla composizione del cast - qualcuno, inevitabilmente, non fu invitato - a quelle, più gravi, dovute alla destinazione dei fondi raccolti - arrivati solo in parte o diventati preda del regime etiope.
Se vogliamo chiederci che cosa resta di questa esperienza a quarant’anni di distanza, possiamo dire che la musica pop, la televisione come intrattenimento, strumenti relegati a fenomeni culturali di serie b, possono invece essere potenti lenti di ingrandimento, capaci di portare all’attenzione problemi sociali di grande rilevanza. Quarant’anni dopo abbiamo il web. Strumento eccezionale, ma di una natura multipolare, che non favorisce la sintesi. Fra molti messaggi siamo più confusi. Difficile ipotizzare l’unanimità che ottenne il Live Aid.
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