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Commenti di mezza estate. Uomini e padri "disastrati"

di Piera Egidi Bouchard


Un amico forse cinquantenne si sfogava con me dei suoi fallimenti esistenziali: finito un matrimonio, una convivenza, alcune storie: “Mi hanno mollato tutte!” “Ma tu cosa vuoi da una donna?” gli ho chiesto: “Bocca col rossetto rosso e calze nere a rete “ mi ha risposto. Sono rimasta di sasso: “ Ma, e una donna normale?...” ho balbettato. Sì, perché tutte noi, anche le sue coetanee, non siamo come delle ragazze da copertina: abbiamo le occhiaie da troppo lavoro, le prime rughette, un po’ di cellulite, magari qualche chilo in più. Non ci mascheriamo da play girl, al massimo, quando vogliamo essere carine, andiamo dal parrucchiere... E loro, i maschi, mica credano di essere degli Adoni: non sono come i Marlon Brando o gli Alain Delon (per pensare agli idoli di quell’epoca), non hanno i muscoli scolpiti alla Tarzan, come passano gli anni mettono fuori le pance, magari sono ingobbiti, si vestono trasandati, si lavano poco, anche noi abbiamo i nostri estetismi, ma in un rapporto guardiamo ad altre cose.

Sì, dobbiamo vicendevolmente  piacerci, ma soprattutto dobbiamo poterci affidare: guardiamo all’onestà, alla sincerità, alla capacità di dialogo, di condivisione, alla compatibilità dei caratteri, allo star bene insieme: fa parte del piacersi. Certo, ci possono essere anche donne superficiali, egocentriche, interessate, ed è una disavventura incontrarle, ma io pensavo alle mie tante amiche, che non sono certo così. Eppure il più delle volte sono sole, così come questi uomini disastrati: perché è così difficile incontrarsi, capirsi, amarsi?

La società dell’immagine, i social, ma anche la pubblicità, i programmi televisivi, ammiccano solo al corpo (in particolare femminile), solleticano solo il sesso (in particolare maschile), la facilità con cui i maschi soddisfano le loro voglie - per cui si sentono tradizionalmente esentati da ogni responsabilità, basta pagare, sono lì, ad ogni angolo di strada - è una realtà che non aiuta di certo a scoprire l’altra persona, a entrare in una relazione profonda, coinvolgente, duratura.

Certo, bisogna pensare a educare le giovani generazioni, ai sentimenti e a una sessualità condivisa, e in questo c’è la speranza per il futuro, anche se è molto difficile, perché tutto il mondo gira al rovescio, verso una materialità impressionante e facile da raggiungere; ma poi illusoria, momentanea, superficiale, e lascia l’amaro in bocca. Ma di questi quaranta-cinquanta-sessantenni disastrati, che ne facciamo? Magari sono loro i padri: che insegnamento, che esempio possono dare ai figli?

Un amico sessantenne, anche lui disastri su disastri, matrimonio, convivenze, figli da donne diverse: “A me piacciono le trentenni- mi diceva  (chissà perché non solo le amiche, ma gli amici mi raccontano le loro cose, sarà perché sono empatica, e poi non apro bocca, stanno al sicuro...) Ma quelle bisogna portarle a cena nei bei ristoranti, andarle a prendere con belle auto, fare regali, fare viaggi: sono costose, e io sono solo un travet". Non ho commentato, ma ho pensato: ma dove le vai a prendere, queste ragazze? Poi magari sono delle bellissime oche giulive, e una cena con loro è una noia mortale...

La mia generazione era sportiva e cameratesca: le spese si pagano perlopiù a metà, vitto, alloggio, cinema, se non c’è l’auto si cammina, si fanno le gite in bicicletta. Cos’è cambiato nel costume sociale? Noi avevamo inventato le minigonne, ma non erano armi di seduzione nei nostri intenti, erano solo espressione di libertà e contestazione alle nostre madri, che ci volevano con gonne a pieghe sotto il ginocchio, coi tremendi corsetti che ancora si usavano, e a scuola rigidamente col grembiule nero e il colletto bianco. Non c’era nessun intento di attrazione maschile, c’era solo allegria, e infatti qualche anno dopo (“Tremate, tremate, le streghe sono tornate!”) ci siamo inventate i gonnelloni a fiori e gli zoccoli... E il bikini, che tanto aveva allarmato le nostre mamme, era solo il piacere di godersi il sole e l’acqua del mare anche sulla pancia.

Adesso invece, dopo gli anni delle tette nude sulle spiagge, è invalsa la moda delle chiappe in mostra, ed è tutto un aperto, per quanto forse inconscio, invito sessuale. Colpa dei social, di nuovo? Io immagino che cosa pensano di noi gli immigrati islamici, che al tramonto accompagnano le loro donne tutte vestite a immergersi in mare, circondate da tutti i maschi di famiglia, grandi e piccini.

Giorni fa camminavo per strada, e mi sento chiamare, piano piano, sottovoce: “Signora, signora...”: mi fermo, torno un po’ indietro: era un giovane uomo, forse di quarant’anni, tutto ben vestito, giacca e cravatta: “Signora, mi dia qualcosa, ho fame, non sono un drogato, può venire con me a comprarmi qualcosa al supermercato qui vicino, è solo per mangiare.”

Lo guardo: “Cosa le è successo?” chiedo, e viene fuori la sua storia. Famiglia, due figli, divorzio, va in depressione, perde il lavoro, non ha più casa, dorme sulle panchine perché c’è una lunghissima lista d’attesa ai dormitori. ”Beh, menomale che adesso è estate”- dico per consolarlo. Cosa posso fare per quest’uomo? Posso solo dargli quello che ho nel portafoglio: “Ecco - gli dico – pensavo di darlo in chiesa...” Ci salutiamo subito dopo, di fretta -  l’elemosina umilia chi la riceve e chi la fa - con la tristezza di non aver dato e ricevuto aiuto, se non quei foglietti di euro.

Non l’ho più incontrato. Ma ci ho pensato a lungo nel tempo. Così come penso a quell’altro forse coetaneo che tremante, scarmigliato, ma ancora coi residui di un completo giacca e cravatta, chiede l’elemosina ai tornelli della metropolitana: “Lo conosco – mi ha detto un’amica – era un impiegato della banca qui vicino, lo vedevo sempre per anni ubriacarsi al bar, ha perso tutto...”.

Che cosa fare per queste persone? Per questi uomini di mezza età disastrati? 

Risultano dalle statistiche che sono sempre di più, nel nostro satollo e compiaciuto e corrotto Occidente, e il decorso è sempre lo stesso: rottura dei legami familiare, perdita dei legami affettivi, dei figli, della casa, depressione, perdita del lavoro, solitudine: homeless. Un amico, anche lui con un divorzio doloroso, mi ha detto: ”Una donna è sempre una donna e ha ragione, un uomo è solo ed è un single.” Sì, in queste traversie noi donne siamo più resistenti, ci rimbocchiamo le maniche, ci accolliamo la famiglia, e spesso - giustamente - siamo tutelate dalla legge, ma loro, gli uomini, che magari si sono comportati male, sono stati superficiali, hanno tradito, ora scontano una condizione insostenibile, da cui non sanno come venire fuori.

Ne ho viste tante, di famiglie che deflagravano, di quaranta-cinquantenni buttati fuori casa (magari loro hanno sbagliato, magari hanno alzato le mani, perché quella muscolare è la reazione maschile, che non riesce a verbalizzare, ma bisogna dire che le donne sanno colpire con le parole, affondare la lama della cattiveria nei punti deboli, ed è pieno anche di donne vendicative e velenose, tese a spellare il compagno fino all’ultima lira). Che cosa è successo, a questi uomini di mezza età? Ho pensato che sia una questione ormonale, che li fa sbiellare, noi abbiamo la menopausa che ci manda in depressione, magari loro attraversano l’andropausa e non ne sono consapevoli, come siamo noi, costrette fin da ragazzine a vivere con le trasformazioni del nostro corpo, e quindi forse per questo rese più critiche con le nostre stesse azioni.

Il rapporto di coppia, la convivenza, il matrimonio, non sono solo l’infatuazione a prima vista, sono un impegno, un lavoro, che ci insegna a condividere, a pazientare, a rinunciare, anche. Sono un paziente lavoro, come ogni cosa. Nel nostro mondo edonistico del “tutto e subito” abbiamo rimosso la malattia, la sofferenza, la povertà, la morte. Una volta si educavano le giovani generazioni a fare delle visite agli ospedali, o negli ospizi, negli istituti, a occuparsi dei bambini come loro, ma orfani e nei ricoveri. Devo ringraziare mio padre medico che non mi ha nascosto tutto ciò. Adesso ai bambini si insegna solo ad avere, in ordine: giocattoli, telefonini, il nuoto, il tennis, ogni cosa bella. Desiderare e avere: tutto e subito... Non c’è allenamento alla verità della vita, che è molto più complicata, non c’è allenamento alla fatica, allo studio, al lavoro, alla limitazione, alla rinuncia. Alla prima frustrazione, tutto crolla.

Eppure anche la salute è un dono meraviglioso, e il fatto che la malattia vada fronteggiata è anch’esso un allenamento progressivo. Conosco due casi di amiche che si separarono, lui come capita aveva un’altra, passarono gli anni, ma poi, tanto tempo dopo gli uomini si ammalarono, e cosa fecero ambedue? Tornarono a casa dalla moglie che avevano scartato, e le poverette li accettarono, si rimboccarono le maniche e li curarono. Fino alla fine.

Da chi ci si rifugia nella malattia? Da chi hai fiducia in tanti anni, che sai che non gioca, non bara, da chi ti vuole veramente bene. Un bell’esempio, da parte di lei, ma anche di lui, di condivisione e di amore, quello che ci viene comandato durante la celebrazione del matrimonio: “Finché morte non vi separi.”


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