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Un libro per voi: Il Ricettario del Pantagruel

Aggiornamento: 4 ore fa

Viaggio nella memoria di quando eravamo piccoli, dalla seconda metà del ‘900 ad oggi

 a cura di Beppe Borgogno


Da qualche anno la cosa più frequente che capita ad ogni comunità politica è dividersi, soprattutto a sinistra. Che dire allora di un robusto gruppo di persone, che per circa 50 anni ha attraversato tutte le traversie della sinistra italiana, facendo scelte diverse di impegno e militanza, ma che è sempre riuscito a trovare le ragioni della vicinanza, dell'unione e della solidarietà, compreso ora un libro di ricette?

Non è un paradosso, è in estrema sintesi la storia del Pantagruel, il “Circolo del Proletariato Senile”. E della sua più recente produzione, Il Ricettario del Pantagruel, un libro autoprodotto e a tiratura limitata, disponibile solo su prenotazione, le cui prime duecento copie pare siano andate a ruba.

Tutto nasce tra il 25 aprile e il 1 maggio del 1975. A cena al ristorante Da Ala , in via Santa Giulia a Torino, come spesso accade ed è continuato ad accadere per anni, siedono quattro militanti del Manifesto: Vinicio d’Agostini, Livio Griglio, Gino Scicchitano e Pierluigi Pugliaro. Dall’idea, e dal pretesto, che anche il diritto all’alimentazione abbia bisogno del giusto sostegno, tra il serio e il faceto il Manifesto di Torino affianca alla militanza politica anche una buona ragione conviviale per stare insieme. Cosi nasce il Pantagruel, e quel “senile” inserito nel nome è contemporaneamente un aggettivo ironico verso la “soggettività politica” degli anni ’70, ed anche una visione di lungo periodo.

Poi vengono gli anni del  Pdup, il partito di Lucio Magri, Luciana Castellina, Lidia Menapace, Eliseo Milani, e la loro storia, e quella della comunità di cui fanno parte, continua, compresa quella del Pantagruel.

Nel 1984 il PdUP si scioglie, e un  selezionato gruppo di quadri e militanti confluisce nel PCI. Altri fanno scelte politiche diverse: e così tutte e tutti loro si ritrovano, poi si allontanano, per ritrovarsi ancora negli anni successivi. Nel tempo il Circolo Pantagruel rimane il punto di riferimento per tutti, e il simbolo del Pdup, la falce e martello sul mondo, diventa quello del Circolo, anche per conservare la memoria di un'esperienza importante per chi ne ha fatto parte ma, tutto sommato, anche per la sinistra di quegli anni e non solo.

La tradizione vuole che ogni anno, attorno alle feste di Natale, Vinicio D’Agostini, Presidente “autonominato” del Circolo, ci riunisse tutti a casa sua, la “sede sociale”, prima in Via Maria Vittoria e poi in via Madama Cristina a Torino, per gustare insieme il suo mitico prosciutto friulano e assaggiare le pietanze e i dolci preparati dagli altri soci, discutendo fino al mattino delle serissime esperienze politiche o sindacali di ognuno, perché nel frattempo nessuno ha mai abbandonato l’impegno, ricoprendo, talvolta, anche incarichi di responsabilità.

Questa tradizione continua da 50 anni, anche ora che Vinicio, Livio e altri non ci sono più: siamo ancora un bel po’, e ci sono i figli e i nipoti, a cui il libro è dedicato. E a riunire il Circolo ci pensa Gabriella Tanturri, la moglie di Vinicio e attuale Presidente.

Negli anni non tutti sono rimasti a Torino: il lavoro e le scelte di vita hanno portato alcuni componenti di questo ostinato gruppo di resistenti in altri luoghi, d’Italia ma non solo. Molti hanno voluto portare con sé, per estenderla anche ad altri, questa idea di socialità e fratellanza, perché, come recita la citazione di un importante cuoco dell’800, Giovanni Vialardi, autore di un famoso trattato di cucina, riportata in quarta di copertina, “Ovunque coltivasi l’arte della cucina è indizio di progresso e felicità sociale”: quasi una via culinaria al socialismo, orizzonte naturale per questi irriducibili militanti della sinistra della seconda metà del ‘900.

Il Ricettario del Pantagruel nasce così da tutto questo: 278 ricette, dagli aperitivi e gli antipasti fino ai dolci, precedute dalle regole generali, ma anche da alcune astuzie e curiosità, su come si cucina la pasta, il riso, le carni, i pesci, le verdure.

Sono tutte ricette semplici, che nascono da quei “raduni” annuali,  e dall’esperienza e dalle abitudini alimentari degli anni in cui eravamo bambini, dalla cucina e dalle cucine delle nonne e delle mamme fino ad oggi: dall’insalata russa veloce ai friciulin, dalla pasta alla gricia ai calamari alla livornese, fino a ben sei tipi di bunet, il dolce. E poi le acciughe al burro e i vitelli tonnati, gli agnolotti e il caciucco, i bolliti, il camoscio al civet e il cosciotto di agnello cotto nel fieno.

Attraverso le pagine del ricettario si incontrano i piatti principali della cucina piemontese, e quelli di quasi tutte le regioni d’Italia, con qualche puntata nella tradizione di altri paesi europei. Tutte cucinate, provate, studiate, perfezionate o almeno assaggiate dai soci del Pantagruel.

Sfogliando, però, ci si accorge che questo libro di ricette semplici e popolari è in realtà anche un libro colto, non solo perché l’alimentazione e la cucina sono anch’esse cultura, ma per la quantità di citazioni, di personaggi e di storie che si possono incontrare, per parlare di cibo ma non solo: si inizia con Fabrizio De Andrè,  “Le acciughe fanno il pallone”, e si prosegue con Gianni Rodari, la partigiana Aurora Vuillerminaz, Cesare Pavese, Pablo Neruda con la poesia per Tina Modotti, per  fare giusto qualche esempio.

Questo ricettario è l’opera collettiva di una comunità autentica di donne e di uomini nato e cresciuto attorno alla militanza politica come parte essenziale della vita, che nel tempo è stata capace di non perdersi. Ed è anche uno degli episodi che fanno parte di una storia seria e un po’ romantica insieme, aiutando a raccontarla.

Una storia che non finisce certo con questo libro, nemmeno per chi non c’è più, come per esempio Vinicio e Livio, i due uomini, i due compagni, che si vedono ballare insieme nella fotografia sulla copertina.

A Garessio, in val Tanaro, sul tronco di un castagno (foto in alto) ci sono alcune piccole targhe: sopra ci sono i loro nomi, con tanto di soprannomi, quasi dei nomi di battaglia, che li hanno accompagnati lungo la loro esperienza di militanza, di impegno e di vita in questa strana e bella comunità. Accanto a loro, quelli degli altri compagni e compagne che nel frattempo, anche loro, se ne sono andati.

Perché questa piccola storia è anche una storia grande. E in fondo è giusto fare qualcosa per ricordare chi ne ha fatto parte, per farla durare ancora un po’.

 

 

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