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Trump-Zelensky: non c'eravamo mai amati...

Aggiornamento: 28 feb

di Menandro


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Tutto secondo copione. Soltanto gli ingenui potevano pensare che Trump avrebbe graziato Zelensky nella sua casa bianco latte. L'ha chiamato come si chiama un valletto. L'altro non l'ha inteso, si è adontato ed è finito umiliato.

I padroni americani sono così. Sempre o quasi. Se non lo sono è perché se lo dimenticano, come è accaduto a Biden, restituito al mittente, come un medicinale scaduto.

Per chi li ha visti, senza il punto interrogativo, Trump e Zelensky non avevano ancora iniziato che l'incontro era già finito, nel senso che è cominciato male per finire peggio. Lo si è compreso quando il presidente americano ha colpito al bersaglio grosso, come si dice in gergo pugilistico, alludendo alla mimetica extralusso che Zelensky porta in giro all'estero dal 24 febbraio del 2022, da quando Putin ha avviato l'operazione speciale contro l'Ucraina.

«Si è vestito elegante!» ha griffato Trump, foderato nel suo completo blu semi-elettrico d'ordinanza, osservando il suo ospitato dall'alto in basso, con l'atteggiamento paternalistico di chi si è visto costretto a dare udienza nello Studio Ovale a un homeless e non al rappresentante di un popolo che perde sangue da tre anni, combattendo con armi americane ed europee. Ma questo è Trump cui neppure un attore può rubare la scena. Figuriamoci uno Zelensky che lui, abituato ai premi Oscar, tratta alla stregua di un guitto di quarta serie e neppure si cura di nasconderlo.

Colpa di Joe Biden deve aver pensato la maggioranza degli americani davanti ai teleschermi nel vedere in presa diretta l'esplosione di rabbie covate da tempo tra i due. Ruggine. Se Biden non gliele avesse date tutte vinte, se non l'avesse viziato come fa un nonno con i nipotini, pensa ancora la maggioranza degli americani, Zelensky si sarebbe dato una calmata, invece di immaginarsi il nuovo conquistatore di Mosca. Adesso è troppo tardi per rimediare, ha concluso sempre quella maggioranza che in America è tutt'altro che silenziosa. Anzi, decisamente rumorosa e manesca, come si ricordano i poveri agenti costretti a difendere Capitol Hill il 6 gennaio del 2021, quando l'attuale capo delle forze armate yankee brandiva la minaccia di non voler riconoscere la sua sconfitta elettorale. Per la cronaca, è lo stesso personaggio che dà del dittatore a Zelensky, come a dire il bue che dà del cornuto all'asino.

Per cui, nessuno, tantomeno i giornalisti più che goduti per l'impennata dell'audience, si è stupito quando il presidente in carica ha sbottato, minacciato e insultato il malcapitato Zelensky, dando ancora più cattiveria a quell'indice già feroce con cui ama intimidire i suoi avversari. "Non ha le carte in mano" per un accordo, ha tuonato, come si suol dire. E quando l'altro, risvegliatosi dal sogno, consapevole di vivere oggi come ieri alla Fiera dell'est, dove il topolino è sempre mangiato dal gatto di qualunque colore esso sia, gli ha replicato a muso duro di "non essere lì per giocare a carte", Trump gli urlato addosso di essere un guerrafondaio, di "rischiare la Terza Guerra Mondiale". Poi, come si tratta un impiegato esecutivo, gli ha fatto l'ultimo prezzo su Truth: "Sono arrivato alla conclusione che il presidente Zelensky non è pronto per la pace. Può tornare quando è pronto per la pace".

Benvenuti all'american dream...

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