Torino perde Giuseppe Berta
- Michele Ruggiero
- 3 mag 2024
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Aggiornamento: 3 mag 2024
di Michele Ruggiero

"Giuseppe Berta (Vercelli 1952) si è occupato di storia del movimento operaio inglese e italiano, pubblicando vari saggi tra cui Marx, gli operai inglesi e i cartisti (1979). Collabora a Studi storici e a Società Storia. Attualmente svolge attività di ricercatore presso la Fondazione Olivetti".
Con questa breve biografia a fondo pagina, indicata da un asterisco accanto al nome dell'autore, il quarto volume de Storia del Movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, diretta da Aldo Agosti e Gian Mario Bravo, edito nel 1981 per i tipi De Donato, presentava il lavoro Il neo capitalismo e la crisi delle organizzazioni di massa. Accanto al titolo, due asterischi rimandavano nuovamente a fondo pagina, per un evidente e palpabile desiderio dell'autore di portare alla luce i legami affettivi che l'avevano animato nella ricerca: "Questo scritto è dedicato a mio nonno, operaio metalmeccanico piemontese, che per primo mi ha avviato alla comprensione di ciò di cui qui si discute: lavoratori, fabbriche, organizzazioni operaie".
Ecco, questo è stato, prima ancora che la "memoria storica della Fiat" o del capitalismo, Giuseppe Berta che se ne è andato dopo mesi, anni di silenzio, a causa di una grave malattia che lo aveva costretto inizialmente a diradare i suoi impegni pubblici, per poi lasciare negli ultimi mesi tra amici e conoscenti un senso di triste sconforto per l'ineluttabile.
Il saggio del 1981 sopra richiamato, che analizza le vicende dello scontro di classe tra il 1955 e il 1962 a Torino, lo vede non ancora trentenne in posizione paritetica insieme con i migliori nomi dell'intellettualità torinese, studiosi e storici del Movimento operaio e della sinistra storica, prefigura i temi che Giuseppe Berta avrà sempre nelle sue corde. Corde spesso a intrecciate con i luoghi, come nel libro su Mirafiori, la fabbrica delle fabbriche, e con le dinamiche aziendali, affrontate in Conflitto industriale e struttura di impresa alla Fiat (1919-1979), libri entrambi del 1998 che per alcuni versi sono anticipatori con quella doppia lettura dell'incipiente crisi del gruppo automobilistico, orfano del monopolio produttivo, stretto nella morsa di un mercato che non controlla per la feroce concorrenza dei gruppi stranieri, viziato dalle politiche finanziarie di Cesare Romiti che hanno arricchito gli azionisti, ma ridimensionato la ricerca tecnologica e strozzato l'estro competitivo nella produzione di nuovi modelli di auto.
Ma, se vogliamo guardarlo anche retrospettivamente, quel testo del 1981, a un anno dalla Marcia dei 40 mila nell'ottobre del 1980, epilogo drammatico per il movimento sindacale nella dura vertenza dei 35 giorni alla Fiat, è rivelatorio di quanto la crisi (e la sua sottovalutazione) della grande impresa sul finire degli anni Settanta, avesse finito per spersonalizzare quei modelli di comportamento nello scontro tra movimento operaio e capitale, e penalizzare entrambi i soggetti: i primi divisi e subalterni nell'era Marchionne, il secondo ancora grande all'estero, ma destinato a miniaturizzarsi nel nostro Paese e con un sistema produttivo, come denuncia Berta nel suo libro del 2011 Fiat-Chrysler e la deriva dell'Italia industriale, che ha perduto la sua forza di orientare l'intero sistema nazionale in presenza di una divisione internazionale del lavoro feroce e di una altrettanto spietata competizione finanziaria tra gli Stati. Un tema riproposto con Che fine ha fatto il capitalismo italiano? del 2016 e, da un'altra angolazione, il rapporto con la città, nel 2020 con Chi ha fermato Torino? Una metafora per l'Italia, scritto per indagare insieme con Angelo Pichierri e Arnaldo Bagnasco, due sociologi, "le ragioni del ripiegamento della città e della sua crisi".
Dal 1996 al 2002, su indicazione di Cesare Annibaldi, per anni dominus delle relazioni industriali di corso Marconi, Giuseppe Berta ha diretto l'Archivio storico Fiat. Per lo storico sono stati anni di grande impegno (e di importanti relazioni politiche e culturali), nei quali Berta ha speso molto di sé e della sua credibilità personale per rallentare il progressivo disamore della Fiat per i centri culturali che ne avevano rappresentato la sua immagini a Torino, in Italia e all'estero. Disamore avvertito in misura sempre più incipiente con la riduzione di investimenti a beneficio della Fondazione Agnelli, fiore all'occhiello dell'impresa e del capoluogo piemontese.
Giuseppe Berta, docente universitario alla Bocconi, editorialista, studioso, lascia dietro di una scia importante del sapere storico che resterà un punto luminoso per lo studio delle generazioni più giovani. Ma a chi lo ha avuto come amico, o a chi l'ha conosciuto professionalmente, mancherà soprattutto la sua ironia, quei lampi che sapeva lanciare dietro le sue spesse lenti, all'improvviso con disarmante naturalezza.
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