SETTIMANA FINANZIARIA Spread in basso, come nel 2015
- a cura di Stefano E. Rossi
- 3 giorni fa
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a cura di Stefano E. Rossi

Su Jerome Powell, Capo della Banca Centrale Usa, adesso pende anche una richiesta di dimissioni immediate. Le ha reclamate a gran voce Donald Trump. Gli animi sono sempre più infiammati e la causa scatenante è nota. L’accusa è di eccessiva prudenza ad abbassare i tassi. Però, quella del titolare della Federal Reserve è probabilmente una scelta obbligata. Sta continuando a prendere tempo, temendo le spinte inflattive alimentate da due fonti. Da un lato c’è l’inaspettata prova di dinamicità dell’economia americana, ulteriormente attestata questa settimana dalla diffusione di un ottimo, quanto inatteso, dato sulla disoccupazione, scesa anche a giugno, al 4,1%. Dall’altro, aumentano le incertezze per gli effetti delle politiche di commercio internazionale della Casa Bianca.
Dazi, Moody's suona l'allarme
E stavolta, la colpa maggiore di Powell è di averlo detto fuori dai denti. Senza i dazi, probabilmente i tassi sarebbero già scesi. Fra una settimana scade la proroga accordata per l’entrata in vigore delle nuove tariffe. Nel frattempo, accelerano le frenetiche negoziazioni con le controparti ancora rimaste senza un accordo, come l’Europa, il Giappone e la Corea del Sud. L’esito del pronostico ricorda quello della schedina del Totocalcio: 1,2,X. Ma i mercati danno più credito al Presidente della FED. E i segnali di fragilità finanziaria dell’economia Usa, che condividono molti operatori internazionali, si riflettono da tempo sulle tensioni nel prezzo dei titoli di stato, i T-Bond. Oltre che sulla debolezza del dollaro, che questa settimana ha superato più volte quota 1,180 contro l’euro, per poi chiudere a 1,177.
Scelta di prudenza, ma scelta obbligata, anche quella dell’agenzia di rating Moody’s. Mercoledì ha rivisto la sua proiezione sulla crescita degli stati sovrani. Tecnicamente, si dice che ha modificato l’outlook da stabile a negativo. A tutti. Pure in questo caso, gli studi sulle ripercussioni dei dazi ne sono la causa. Conducono a una indistinta rivisitazione del tasso di sviluppo economico mondiale. Però, come per le scelte di politica monetaria di Powell, i mercati erano più avanti: avevano già prezzato i nuovi equilibri tra i debiti pubblici nazionali.
Inflazione, nessuna novità di rilievo a giugno
Su questo piano, che riguarda gli interessi dei titoli di Stato, tra quelli che ne stanno pagando il conto maggiore ci sono gli Stati Uniti e la Germania. I tassi dei T-Bond americani e dei Bund tedeschi non erano così cari da decenni. E, non a caso, gli spread di tutti gli altri titoli di stato occidentali, in particolar modo quelli dell’area Euro, si sono tutti appiattiti. Non accadeva dal 2015. Con gli spread bassi, gongolano tutti i governi… compreso il nostro. Lo spread della Grecia è sceso a 71,4, quello italiano a 90,6 odierno, quello portoghese a 49,1. E così via.
Sono arrivati i dati di giugno sull’inflazione in Europa, ma non ci sono novità di rilievo. L’area Euro chiude al +2,0% e l’Italia al +1,7%. Poco è variato, rispetto al mese precedente.
L’oro resta alto, anzi sale ancora un poco, a quota 3.350 dollari l’oncia. Ma, l’effetto combinato del calo del dollaro, regala agli europei un prezzo che scende sotto i 92 euro al grammo.
Di questi rincari, l’intero settore orafo sta patendo le conseguenze. È un dato di fatto che, ogni volta che la materia prima sia cara, si riducano marcatamente non solo le quantità, ma anche i controvalori delle vendite totali. Emblematico è il caso della Turchia. Nel primo trimestre del 2025, il fatturato del comparto è sceso del -40,9%. Il dato medio mondiale è stato del -21%. Va meglio per l’Italia, che limita le perdite al -10,7%. A migliorare la performance hanno contribuito gli incrementi delle nostre esportazioni in Svizzera (+21%), in Francia (+10,8%) e negli Emirati Arabi Uniti (+9,6%).
Settimana corta a Wall Street, perché venerdì 4 luglio si è celebrata la più patriottica delle feste: l’Independence Day. Dal 1776, si rinnova nel presente con preghiere, musica e parate. Fuochi d’artificio, ma non solo. Sullo sfondo c’è la carta fondamentale dei diritti inalienabili: la vita, la libertà, l’uguaglianza degli uomini e la ricerca della felicità. Tutto questo nella terra del capitalismo, quella del sogno americano per un giorno a borse chiuse.
A Piazza Affari, invece, si lavora fino all’ultimo giorno, a testa bassa, nella calura dei sempre più frequenti black out elettrici.
A Piazza Affari è sempre guerra per... banche
Anche questa settimana, imperano le acquisizioni bancarie: Bpm è contro Unicredit, Bper Banca rilancia su Popolare di Sondrio e Mps se la vede con i rigurgiti di Mediobanca.
Procediamo con ordine. La prima novità è che la Consob, l’autorità di borsa, ha dato il via libera all’offerta di Unicredit su Bpm. Però il CEO di quest’ultima, Giuseppe Castagna, continua a giudicarla senza vigore e tifa per un buco nell’acqua.
Il secondo fronte aperto è quello che contrappone Banca Popolare di Sondrio a Banca Bper. Questa, promotrice dell’Ops, rilancia l’offerta aggiungendo un euro per azione, facendo salire la redditività dell’operazione al 17,8%. Le adesioni ora sono al 20%, ancora lontane dal 50%, cioè il minimo pubblicato nel prospetto approvato da Consob. Ma c’è ancora tempo, fino a venerdì 11 luglio, ed è già arrivato il benestare dell’antitrust.
Infine, a sorpresa, Banca Mps scopre di doversi accontentare. La Consob ha approvato il prospetto dell’offerta pubblica di acquisizione, ma diffonde anche una condizione inattesa. La soglia minima di adesione all’offerta è stata fissata al 35%. A Siena nessuno si esprime a chiare lettere, ma, con questa clausola, si capisce che si fa largo il timore di dover inghiottire un boccone molto indigesto. Però è troppo tardi per queste incertezze o, peggio, per ripensamenti. Brutta mossa. Abbandonando la strategia di esercitare un’influenza dominante, le conseguenze appaiono più negative, che positive. Se le adesioni non oltrepasseranno il 50%, i tempi per l’integrazione saranno notevolmente più lunghi, di molto superiori all’anno. Inoltre, si perderanno 2,9 milioni di euro di benefici per crediti d’imposta. A cambiare una cattiva impressione non basta la notizia, buona a metà, che non ci saranno impatti sul personale, in assenza di sovrapposizioni organizzative.
Così, il mercato assume un’intonazione irrispettosa e Banca Mps, nella sola giornata di venerdì, perde il 2 per cento, ritornando ai valori di inizio anno. Anche per Mediobanca la settimana si chiude in perdita (-4,93%), ma il guadagno da inizio anno resta del 32%. Inoltre, le perdite della settimana hanno una ragione chiara: sono imputabili ai realizzi dei soci più influenti che hanno aderito alla scalata. Infatti, uno dopo l’altro a partire da quelli d’orientamento più governativo, si stanno sfilando i componenti del Patto di consultazione, che di fatto controllava la banca. La dismissione delle partecipazioni ha comportato la riduzione del valore del titolo.
È noto come il Governo italiano caldeggi la formazione di questo nuovo polo bancario. Perciò, i residui soci storici che si ancora oppongono all’Ops, stanno assumendo una posizione politicamente delicata. E lo sarà ancor più se alla fine resteranno isolati.
Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB
I Tori: Campari +8,24%, Moncler +6,27%,
Gli Orsi: Mediobanca -4,93%, Prysmian -2,88%
FTSE MIB: -0,30% (valore indice: 39.622)
I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.
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