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SETTIMANA FINANZIARIA. Arriva lo Shutdown di Trump

Sospesi i pagamenti federali. Crescerà la disoccupazione negli Usa?

a cura di Stefano E. Rossi


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Dollari da combattimento: Fight, fight, fight! (lotta, lotta, lotta!). Il dipartimento del Tesoro Usa sta preparando una nuova moneta che riproduce l’effige di Donald Trump con il pugno alzato e le parole ripetute dopo il fallito attentato in Pennsylvania. Verrà stampata l’anno prossimo, in occasione del 250° anniversario della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti. Ma c’è un’America che lotta e un’altra America che perde.

È scattato lo Shutdown, la sospensione dei pagamenti federali. Era già avvenuto più di venti volte nella storia del Paese, con durate diverse. Il record è di 35 giorni, raggiunti durante il precedente governo Trump, ormai un veterano dell'iniziativa, si potrebbe dire. Toccherà 750 mila dipendenti pubblici, con ritardi sui pagamenti degli stipendi e rischi di licenziamenti, secondo costume subito minacciati dal Presidente. Contraccolpi indiretti riguarderanno l’apparato militare, ma non i controlli di frontiera. Si farà sentire nelle scuole, negli istituti di statistica, l’università e la sanità, ma non negli ospedali e l’aviazione civile. Impatti anche sulla NASA, ma non per la stazione spaziale internazionale. Bloomberg stima un aumento della disoccupazione dal 4,3% al 4,7%. Citigroup avverte che i tassi delle obbligazioni in dollari tenderanno a salire se la durata dello shutdown sarà troppo prolungata.

 

Tasse pagate dai soliti noti, dice il CIDA

Evasore a chi? Da tempo, è la politica stessa a fornire ai contribuenti le giustificazioni per non far mettere le mani nelle proprie tasche da parte dell’erario. E così, anno dopo anno, si è arrivati a sostituire le tasse, evase o condonate, con le assicurazioni private e le prestazioni a pagamento. A dire il vero, per una dozzina di milioni di cittadini, in buona parte stipendiati e pensionati, si è arrivati a sommare le une alle altre.

È quello che emerge dal rapporto CIDA, che ci definisce un Paese di “poveri” benestanti. Infatti, il documento riporta che il 43,15% degli italiani non ha redditi e vive “a carico” di qualcuno. Ma quel qualcuno che paga le tasse per intero (e anche i premi delle polizze e le prestazioni a pagamento), seppur col lanternino, si riesce ancora trovare. Stefano Cuzzilla, Presidente del sindacato che rappresenta circa un milione di dirigenti aziendali sintetizza: si dice spesso che l’Italia sia un Paese oppresso dalle tasse. Ma i numeri dicono di no. Il problema non è che tutti paghino troppo, ma che pochi paghino per tutti. Questo squilibrio logora il ceto medio, scoraggia i giovani e mette a rischio il futuro del Paese. 

Il report dell’Osservatorio sulle Dichiarazioni dei Redditi ai fini Irpef, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali per conto della Cida, è stato presentato martedì pomeriggio alla Camera dei Deputati. Le risultanze sono allarmanti. Ben 1.184.272 soggetti, 170 mila in più dell’anno precedente, dichiarano redditi nulli o negativi. Una parte minoritaria dei contribuenti, il 27,4%, si fa carico del 76,9% del totale delle imposte. Il restante 23,1% dell’Irpef viene corrisposto dai tre quarti dei rimanenti percettori di reddito, i quali, con le tasse versate, non riescono neppure a coprire le loro prime tre funzioni di welfare, quali la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione.

Potrebbero essere la povertà e l’indigenza la causa delle difficoltà di molti cittadini di contribuire ai 207 miliardi di euro dell’Irpef totale. Ma il Professore, guardando ai consumi e alle abitudini di spesa degli italiani, la giudica poco veritiera. Nel solo 2023 gli italiani hanno destinato al gioco d’azzardo, fisico o online, circa 150 miliardi di euro. Inoltre, siamo ai primi posti in Europa per il possesso di abitazioni, autoveicoli, smartphone e abbonamenti a pay-tv.


Il made in Italy reagisce ai dazi

L’export italiano verso gli Stati Uniti crolla del 21,2%. Condiziona le esportazioni extra-europee totali, che però scendono di meno (-7,7%) e, quindi, denotano reattività nel nostro sistema produttivo. Le imprese italiane hanno accusato la pugnalata alla schiena dell’alleato americano, ma non sono rimaste con le mani in mano. Hanno già iniziato a rivolgersi verso altri, nuovi promettenti mercati. È ovvio che, se prima togli la Russia, poi gli Usa e poi chissà chi, il livello di difficoltà può raggiungere altezze non raggiungibili da tutti. Ma in questa crisi non siamo i soli a subire e, poi, era previsto da mesi, perché i magazzini Usa erano stracolmi. Gli importatori statunitensi li avevano riempiti in anticipo alle vecchie tariffe, più basse. Quindi basta parlare di dazi e passiamo oltre.

Ci sarebbe il Pil. O forse meglio di no, dato che eravamo partiti da un ottimistico 1,2 percento d’inizio anno e adesso ci ritroviamo con un misero zero virgola in discesa. Da aprile, ad ogni uscita dei documenti di programmazione del governo non è mai mancata la doccia fredda. Ultimissimo forecast: +0,5% (ex 0,6%).

 

Titolo Stellantis in grande spolvero

Piazza Affari, non si ferma. Con la Flottiglia, nelle città si blocca tutto ma non la Borsa, che punta a nuovi massimi assoluti. Continua a essere un mistero la crescita, nonostante tutto, dei mercati azionari internazionali. Sembra che non contino le guerre, il rallentamento degli scambi internazionali, l’incerta crescita dell’economia, il lavoro povero e i consumi in affanno, le disuguaglianze crescenti e un clima sociale che inizia a perturbarsi. Viene da chiedersi da dove arrivi tutto questo favore per le Borse. Si conviene imputarlo all’effetto dirompente delle nuove tecnologie, per prima l’intelligenza artificiale. C’è sempre un Salvatore quando le cose si mettono per il meglio.

Questa settimana Stellantis è sugli scudi. Vola sui dati delle immatricolazioni a settembre. Nonostante in Italia non ci siano ancora gli incentivi per le auto elettriche, in vigore solo dal 15 ottobre, le vendite sono salite del 15,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Anche negli Usa, con un +6%, il gruppo ha interrotto una discesa che durava da due anni. A trainare le vendite del gruppo sono modelli Jeep e, da noi, anche la Fiat Pandina. Ad ampliare l’ottima performance borsistica, si sono aggiunte le voci della cessione della divisione di car-sharing Free2move, poco redditizia. Per il CEO Antonio Filosa è la prima conferma positiva dalla data del suo recente incarico. In questo risultato c’è di certo il suo zampino: a ben figurare è la sua Jeep, la cui direzione generale gli era stata affidata fino alla promozione.

Brunello Cucinelli si prende una rivincita. Con una prova l’orgoglio il titolo rimbalza, a una settimana dalle rivelazioni della società di investigazione finanziaria Morpheus Research, che l’avevano affossato facendogli perdere un quinto del valore. Risale di quasi la metà della discesa della settimana scorsa.

Finito il risiko bancario, non c’è più interesse per Mediobanca. Il titolo subisce un crollo del -25% rispetto ai massimi realizzati a metà settembre; è uno stillicidio quotidiano, che lo sta velocemente riportando ai livelli di un anno fa. E sta annullando anche i benefici di un ciclo finanziario genericamente favorevole, caratterizzato da ottime performance per la maggior parte dei titoli del listino milanese.

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.

I Tori: Stellantis +14,10%, Brunello Cucinelli +9,21%,

Gli Orsi: Mediobanca -13,35, Buzzi Unicem -2,98%

FTSE MIB: +1,44% (valore indice: 43.258)

 

I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.

 

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