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Repole, Cirio e Lo Russo per il futuro di Torino: non è stata un'occasione sprecata

Aggiornamento: 17 gen



Si deve ritornare a costruire una cultura diversa, dove le persone più fragili o più sfortunate non si sentano isolate, un isolamento vissuto come condanna ineluttabile o peggio come destino immutabile, ma in cui si possa ritornare a sentirsi comunità. Una sfida nella sfida. In sintesi, il messaggio lanciato dall'arcivescovo di Torino, Roberto Repole, nella riuscitissima serata, per numero di presenze, al Teatro San Giuseppe con il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, e il sindaco della città di Torino, Stefano Lo Russo. Incontro presentato dal direttore de La Voce e il Tempo, il settimanale della Curia torinese, Alberto Riccadonna, preceduto da una relazione del sociologo Luca Davico sullo stato di salute del capoluogo regionale.


Certo, nulla di nuovo nelle parole dell'Arcivescovo, ma molto di vero. E di necessario. Del resto, se non si ritrova lo spirito di comunità che sprigiona energia, vitalità e soprattutto fiducia nel futuro, anche la ricerca di "Qual è il bene per Torino?", interrogativo complesso e complicato sotto il cui cielo immaginare la rinascita della città, rischia di cadere in un banale esercizio dialettico che esclude proprio chi si vuole includere nella condivisione delle scelte politiche, cioè i cittadini.

Al netto degli interessi di parte o di bottega (siamo nell'anno del voto in Regione e per il Parlamento europeo), l'occasione d'incontro non è stata sprecata. La diocesi torinese ha messo sul piatto della discussione la spinta propulsiva di un presule giovane e intenzionato a lasciare una traccia concreta del messaggio evangelico. Non si può che declinare in questo modo l'invito rivolto al Gruppo Stellantis alla vigilia di Natale di riconsiderare le prospettive dello stabilimento di Mirafiori fuori dagli schemi di un economicismo che non può essere l'unica chiave di lettura per comprendere la realtà dell'uomo.

Il lavoro come attrattiva di Torino, città depositaria di saperi, di conoscenze e di eccellenze che purtroppo oggi è contemplata più come punto di partenza che di arrivo, soprattutto dai giovani. Riflessione centrale annunciata, da cui hanno preso spunto sia Lo Russo, sia Cirio. Il primo riproponendo il valore indivisibile dello sviluppo unito alla coesione sociale, da cui trarre sinergia per offrire una prospettiva alle aree periferica e degradate della città, in cui il problema sicurezza non può essere comunque ignorato. L'altro, con la provocazione di cercare un'alternativa al Gruppo Stellantis tra quei produttori interessati a costruire auto a Torino. Idea suggestiva, per quanto contaminata dalla campagna elettorale che di fatto è già partita per il candidato del centro destra, che risponde alla necessità di rompere schemi oramai consunti, anche sul piano affettivo. La Fiat è storia. Ed oggi ciò che conta è dove si producono le auto, non chi le fa. Una filosofia che forse si sarebbe dovuta applicare oltre quarant'anni fa, lasciando ad altri pelosi sentimentalismi e demagogici discorsi sull'identità del marchio, quando l'Iri decise di cedere l'Alfa Romeo a prezzo di realizzo alla Fiat, anziché alla Ford.

A maggior ragione oggi, che l'indotto auto non è asservito alle esigenze di un monoproduttore, ma si è diversificato in una logica di competitività su scala intercontinentale che ha salvato nel Torinese decine di piccole e medie aziende dal fallimento.

Lavoro, e tutela dell'ambiente, come restituzione di una prospettiva non soltanto per giovani, ma anche chi il lavoro lo ha perduto o rischia di perderlo - in sala vi erano numerosi lavoratori di aziende in crisi - e si ritrova nell'età professionale di mezzo con un presente che non è più fertile sul mercato del lavoro e un passato che non è ancora moneta spendibile per la pensione.

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