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Quando i Carter "incontrarono" il noto faccendiere Pazienza

  • Vice
  • 30 dic 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 30 dic 2024


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di Vice

Alla veneranda età 100 anni e qualche mese, il 39esimo Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, l'uomo dal sorriso smagliante, non ha visto l'alba del 2025 soltanto per pochi giorni. Un po' come accadde al suo acerrimo avversario, il repubblicano Henry Kissinger, un altro grande vecchio della vita politica americana, che se ne è andato battendo il secolo di vita sul finire del 2023.

Premio Nobel per la Pace nel 2002 per le sue iniziative per contrastare e superare i conflitti armati nel mondo, filantropo e anima di una Fondazione non profit per i promuovere i diritti umani, Jimmy Carter trova oggi una rivalutazione della sua permanenza alla Casa Bianca (1977-1980), dopo essere stato affossato per decenni dare fiato all'apologia e fare spazio all'apoteosi degli anni Ottanta, quelli delle presidenze americane di Ronald Reagan (1981-1988) e dei governi in Gran Bretagna di Margaret Thatcher, la Lady di ferro: i due volti del neoliberismo con il freno a mano tirato su regole e diritti, e l'acceleratore premuto a tavoletta su tagli al welfare per rendere politicamente afone le classi subalterne e avviare al definitivo crepuscolo il '68, il potere sindacale e delle sinistre.

E fu proprio nella competizione con l'attore Reagan, già governatore della California, noto negli anni Cinquanta più per essere stato la longa manus del maccartismo negli Studios di Los Angeles, che per pellicole da consegnare alla storia del cinema internazionale, che Jimmy Carter s'imbatté in una campagna di diffamazione che avrebbe avuto notevoli ripercussioni sulla sua immagine e sulla sua mancata rielezione. Il pretesto nacque da un presunto rapporto di consulenza tra il governo libico del colonnello Gheddafi e il fratello minore del presidente, Billy Carter, personaggio estroverso, imprenditore, tra l'altro coinvolto da una antica casa di birra in crisi a promuovere sul mercato un nuovo marchio per risollevarne le sorti, sfruttando indirettamente il nome del potente parente. In difficoltà per la situazione economica con una inflazione a due cifre, per le tensioni internazionali (Iran e Afghanistan) e il fuoco amico (la discesa in campo dell'ultimo dei Kennedy, Ted) Jimmy Carter si ritrovò anche bombardato da notizie veicolate a senso unico, prive di oggettivi riscontri, che in breve si trasformarono in un autentico diluvio di accuse che rilanciavano ipotetici condizionamenti della Libia sulla politica estera della Casa Bianca, sapientemente sfruttata dall'entourage repubblicano di Ronald Reagan.

In una successiva inchiesta, il Wall Street Journal sostenne che nel Billygate c'era anche lo zampino di Francesco Pazienza, un agente del Sismi, condannato in absentia per estorsione di informazioni e diffusione di notizie false. Infatti, lo stesso agente del Sismi, affiliato a una loggia massonica, sospettato di far parte della Loggia P2, condannato da più tribunali, il cui nome entra di diritto nei principali misteri italiani legati alla strategia eversiva, sosteneva che Michael Leeden, "l’autore degli articoli, fosse stato pagato profumatamente per distorcere la realtà". Una prassi che il faccendiere Pazienza, come prese a etichettarlo la stampa nazionale, maneggiava con grande abilità, sia da agente segreto, sia da consulente del dominus dell'Ambrosiano Roberto Calvi, finito appeso al Blackfriars Bridge, il ponte dei Frati neri sul Tamigi londinese,

E Leeden, che non era certo secondo a nessuno nel leggere le alchimie della politica statunitense, avrebbe proseguito su strade controverse, contigue all'intelligence americana quanto a Reagan, anche con un ruolo nello scandalo Iran-Contra che scosse la Casa Bianca a metà degli anni Ottanta. Di Michael Leeden, si ricorda in Italia una relativa notorietà e visibilità grazie al libro Intervista sul fascismo con Renzo De Felice per i tipi Laterza (1975) che per un decennio gli spalancò le porte dei palazzi della politica italiana, favorito anche dalle sue posizioni conservatrici.

Tuttavia, per ritornare a Jimmy Carter, la sua stella tramontò, secondo i più accreditati commentatori statunitensi, il 15 luglio del 1979, quando in un discorso televisivo in prima serata dalla Casa Bianca, come ha scritto oggi sul Washington Post Dan Balz, "il presidente parlò di una crisi di fiducia nell'America e chiese una rinascita dello spirito americano. Questo sarebbe stato ricordato come il discorso del "malessere", una parola che Carter non usò mai ma che raccolse l'essenza del messaggio cupo che trasmetteva sul paese". Ma il danno politico avrebbe potuto essere molto meno sostanziale se Carter si fosse fermato al discorso. Al contrario, osserva Balz, il presidente chiese le dimissioni di tutto il suo gabinetto. Un'azione che segnalò l'idea di una presidenza sull'orlo del baratro.[2]


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