Punture di spillo. Trump, il "re" è nudo e confuso sui dazi
- a cura di Pietro Terna
- 27 mar
- Tempo di lettura: 5 min
a cura di Pietro Terna

Nel 1752 il filosofo David Hume, amico di Adam Smith, scriveva il saggio «On the balance of trade» – oggi diremmo «La bilancia commerciale» – oltre venti anni prima della «Ricchezza delle nazioni» di Smith, che è del 1775. Sono passati 273 anni, ma probabilmente nessuno dello staff di Trump ha trovato il tempo di leggere quel testo.[1] Ho chiesto a Gemini di Google,[2] la cui nuova versione è la novità della settimana: «Trump e i suoi esperti, che vogliono applicare i dazi alle importazioni, hanno letto Hume del 1752? Se lo avessero letto, agirebbero nello stesso modo»?
Una benefica rilettura di Hume
Devo a un post di Paul Krugman[3] – il polemico premio Nobel per l’economia del 2008 che ha recentemente lasciato il New York Times per essere libero nella sua critica a Trump – la spinta a rileggere Hume. I mercantilisti che Hume[4] criticava erano ossessionati dall’oro e dall’argento; Trump invece vuole i bitcoin e le altre cianfrusaglie dello stesso tipo. Nel ’700, il mercantilismo induceva a confondere la ricchezza di un paese con la quantità di monete, d’oro e argento ben s’intende, possedute. Quindi, a considerare come produttivi soltanto l'industria estrattiva di metalli preziosi e il commercio di esportazione, che porta nuova moneta. Esportando più che importando sarebbero arrivate più monete d’oro e argento rispetto a quelle uscite e, oplà, la ricchezza. Che sia proprio quello che pensa Trump, confondendo i bitcoin che piacciono tanto a lui e alla sua famiglia con i metalli preziosi?
In termini di calcolo economico il problema è un altro: chi esporta più di quanto importa sta utilizzando a quel fine il risparmio più o meno forzato dei propri cittadini. Il risparmio è astensione dal consumo e le risorse produttive libere dovrebbero essere rivolte agli investimenti. Se si importa più di quanto si esporta vale l’opposto e i cittadini godono di maggiore benessere, ma pochi al mondo possono permetterselo. Anzi, unicamente gli Stati Uniti che, in cambio di merci buone, danno dollari più o meno buoni, ma che tutti ancora oggi accettano quasi senza limiti.

Ma torniamo a Hume, con un passaggio che dedico a Trump: «le antiche leggi di Atene consideravano criminale l'esportazione di fichi, ritenuti una specie di frutta così eccellente in Attica che gli Ateniesi la valutavano troppo deliziosa per il palato di qualsiasi straniero». Idea, potrei cercare di inserire la frase in qualche chiacchiera governativa americana tramite Signal[5] e uno di quegli improvvisati ministri potrebbe scambiarlo per un ordine esecutivo di Mr. President e vietare almeno in parte le esportazioni americane…
Hume è più serio dei miei scherzi. Leggiamo:[6]
Ma anche nelle nazioni che conoscono bene il commercio prevale una forte gelosia nei confronti della bilancia commerciale e il timore che tutto l'oro e l'argento se ne vadano. Mi sembra quasi sempre un timore infondato; temerei tanto che tutte le nostre sorgenti e i nostri fiumi si esauriscano, quanto che il denaro abbandoni un regno dove ci sono persone e industrie.
In effetti le importazioni americane di merci, apparentemente sbilanciate, che sono quelle da pagare, sono da sempre controbilanciate dalla enorme massa di esportazioni di servizi molto difficilmente contabilizzati nella bilancia import-export: le consulenze; i servizi web con l’enorme massa di rendite che determinano, difficoltosi da quantificare; la cessione dei diritti d’uso del software. Ma, soprattutto, per gli Stati Uniti, l’incessante afflusso di capitali che ha permesso a quella società di vivere, espressione un tempo molto in uso, al di sopra delle proprie risorse.
Le considerazioni di IA Gemini
L’intelligenza artificiale Gemini (di Google) che ho interpellato per sapere se Trump e la sua corte sanno qualcosa di Hume e, nel caso sapessero, come agirebbero, mi ha risposto con un trattatello che ho messo online,[7] da cui estraggo:
David Hume confuta in modo schiacciante i principi economici fondamentali alla base dei dazi sulle importazioni implementati dall'amministrazione Trump. L'argomentazione centrale di Hume (…) sfida direttamente l'efficacia e la desiderabilità a lungo termine di politiche volte a raggiungere un surplus commerciale permanente attraverso misure protezionistiche come i dazi. La sua enfasi sui benefici del libero scambio, sulla natura controproducente delle restrizioni commerciali e sulla comprensione che la vera ricchezza risiede nei beni e servizi, non solo nella moneta, sono in diretta opposizione alle giustificazioni di stampo mercantilista spesso presentate per i dazi di Trump.

Hanno letto Hume? Altamente improbabile, dice l’IA: «Le giustificazioni utilizzate per i dazi di Trump, in particolare l'enfasi sulla riduzione dei deficit commerciali e l'idea di “vincere” nel commercio, si allineano più strettamente con le idee mercantiliste che Hume criticava attivamente». Così ho chiesto a Grok, l’IA senza freni di Elon Musk, di disegnare Trump e Hume intenti a disputare. Direi: ridere per non piangere.
Il sedicente piccolo, ma in realtà grandissimo, baccelliere di musica[8] che conclude gli spilli, ci dice che per non fare brutta figura sono andato a riprendere un testo di quando ero all’università, quello su cui ho studiato per l’esame di storia delle dottrine politiche.[9] È interessante notare come gli autori attribuiscano a David Hume un ruolo di portavoce del liberismo moderato. Stranamente, ma neanche troppo, questo essere moderato appare oggi una scelta radicale. Forse perché sono tempi poco inclini alla moderazione. Ciononostante, chi si mostri affezionato ai principi della democrazia liberale, di cui furono poste le basi dalla generazione di Hume, corre il rischio di essere considerato un facinoroso.
Hume ha attraversato la parte centrale del diciottesimo secolo. Il Settecento fu un’epoca di frenetici cambiamenti. Cambiamenti che interessarono la società e la musica. Il secolo cominciò con Bach e finì con Beethoven.

In mezzo ci fu Mozart. Furono poste le basi dell’opera come è arrivata ai giorni nostri. Così come del concerto e della sinfonia. Lo stile clavicembalistico conobbe il suo punto più alto e nel suo momento di massimo splendore apparve il pianoforte, che lo avrebbe soppiantato. A proposito del passaggio dal clavicembalo al pianoforte è emblematica l’opera di Bach. Scritta per il clavicembalo, questa ha trovato una vita parallela nelle esecuzioni pianistiche. È ovvio ricordare le incisioni che Glenn Gould dedicò alle Variazioni Goldberg.[10] Ma non possiamo dimenticare un meraviglioso musicista americano, Uri Caine (nella foto) che, qualche anno fa, ha riservato alle Goldberg un trattamento contemporaneo, condito di jazz, avanguardia e suoni urbani.[11] Ora, se è possibile rileggere Bach lo stesso si può fare con Hume. Non possiamo aspettarci che lo faccia Trump. Ma possiamo sempre trovare qualcun altro.
Note
[5] Riferimento al fatto che membri del governo di Trump discutono affari di stato con le app social e anche per sbaglio (?) hanno chiamato un giornalista a far parte del gruppo. Vedere ad esempio: https://tg.la7.it/esteri/goldberg-the-atlantic-guerra-signal-26-03-2025-234482
[6] But there still prevails, even in nations well acquainted with commerce, a strong jealousy with regard to the balance of trade, and a fear, that all their gold and silver may be leaving them. This seems to me, almost in every case, a groundless apprehension; and I should as soon dread, that all our springs and rivers should be exhausted, as that money should abandon a kingdom where there are people and industry. Let us carefully preserve these latter advantages; and we need never be apprehensive of losing the former.
[8] Il nom de plume è ispirato da Addio, di Guccini.
[9] Profilo di storia del pensiero politico - Da Machiavelli all’Ottocento, Bravo - Malandrino
Comments