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Osservando i nostri tempi

Aggiornamento: 5 mar

Quando l'inazione disperde il potenziale della giovinezza

di Domenico Cravero


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Oggi non ci sono più riti d’iniziazione. In un tempo in cui la domanda di riconoscimento è particolarmente avvertita, mancano sia le pratiche sociali sia le persone autorevoli (genitori, insegnanti, educatori, intellettuali, imprenditori) capaci di consegnare il loro "segreto", di comunicare il senso profondo della vita. La società appare così lontana e assente, incomprensibile e assurda. Il codice dell'autonomia personale, considera ognuno libero di crescere come vuole, e non sostiene più la maturazione adulta. Si diffonde l'impressione che nessuno chiami e nessuno aspetti. Nessuno che inviti ad assumersi una responsabilità reale nel lavoro, nella professione, nella società. Nessuno che raduni e convochi per la festa della vita che è l’azione (avere un progetto, scoprire la propria vocazione). La società sembra attenta all'adolescente solo quando lo individua e lo sfrutta come consumatore.

Non rimane che cavarsela da sé, cercare nei pari e nel gruppo il necessario riconoscimento. Ma anche lì, arriva subito l’industria del divertimento a diffondere suoni e immagini tecnologicamente perfetti e di grande impatto emotivo, ma poche relazioni interpersonali, quasi nessuna con gli adulti. I nuovi templi della festa (sale giochi, palestre, discoteche) non svolgono il compito di integrare gli adolescenti nella comunità, ma al contrario costruiscono la sottocultura dei pari. Al posto dei valori sociali, dell’impegno e della costruzione dell'autonomia, si afferma l’autoespressione e la realizzazione personale istantanea. A questo servono tatuaggi e piercing, tagli dei capelli, acconciature, forme e colori del corpo; oppure particolari oggetti che assumono valore di simbolo: cellulare, mode, specifici consumi. Danno una parvenza d'identità, senza bisogno di iniziazioni né di apprendistati. In altri casi, le droghe o l'alcol, più che sostanze dello sballo e della trasgressione, sono gli ingannevoli strumenti dell'integrazione nella compagnia o, più semplicemente, nell'età "invisibile". La festa commerciale invita a non pensare al futuro, a evadere anche dal presente, a sperimentarsi, affrontando e inventando rischi e imprese, dove però tutto rimane virtuale, anche i modelli di vita, gli ideali, i traguardi.

Ciò che in realtà i ragazzi amano di più è “andare in giro”: di locale in locale, di piazza in piazza, di esperienza in esperienza. Nel girovagare “senza meta” dell’adolescente è contenuto un grande sogno: presentarsi come persone, essere riconosciuti come unici, scoprire di avere una vocazione e non solo un ruolo da svolgere, un posto nelle società e non solo un’identità familiare.

L’utopia del sogno adolescente, in una società individualista e materialista, dove i consumi emozionali valgono più dei legami, si stempera nelle sue determinazioni più immediate e concrete: l’obiettivo diventa vivere liberi, indipendenti, felici. L’utopia si slega da ogni vincolo progettuale: la società non affida responsabilità, non assegna compiti, non riconosce vocazioni. La bell’età è intesa, quindi, in senso molto concreto e materiale: diventa un’urgenza a portata di mano, da realizzare subito, non importa come. La libertà come autodeterminazione ha il fascino del mito, l’unico forse rimasto, una prerogativa che non c’è bisogno di conquistare.

Senza l’azione, però, i tre aggettivi si rovesciano nei loro opposti: vivere conformi, adeguati e all’altezza delle attese. Chi si ritira, chi non sa godere tutte le occasioni, si autocondanna al disonore e all’infelicità. Il dolore descritto si presenta per lo più nella forma dell’“apatia”, del non riuscire, a essere “divertiti” e “soddisfatti” nei modi “prescritti”. Mancano le occasioni e l’accompagnamento al protagonismo. È l’inazione che disperde l’enorme potenziale della giovinezza.

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