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La politica sanitaria in Italia. Parte prima

di Gian Paolo Zanetta|

Leggi l’articolo completo | Download | Dall’Unità d’Italia alla Repubblica

Dopo l’unificazione nazionale (1861) la competenza organizzativa dell’assistenza sanitaria venne affidata al Ministero dell’Interno a livello centrale ed a Prefetti e Sindaci a livello locale. Era questo un chiaro segnale di inquadramento del problema salute nella più generale tematica dell’ordine pubblico. In realtà il Paese, nei decenni successivi all’unificazione, ebbe come prioritario obiettivo l’integrazione tra i sette Staterelli pre-unitari. Parti diverse che scontavano legislazioni ed ordinamenti diversi, chiamati a ricercare l’elemento unificante nell’eredità della legislazione sabauda. Quindi era evidente che i problemi sociali di una nazione giovane, prevalentemente dedita all’agricoltura, con un’industria ancora agli albori e con un analfabetismo alto e povertà diffusa, fossero vissuti come prioritari da un lato, ma dall’altro sotto forma di ordine pubblico quando si trattava di affrontare ogni tensione che riguardasse condizione di salute e di assistenza sociale. Del resto, quella stessa nazione viveva fortemente il contrasto nord-sud che, in alcune sue aree, si traduceva in una forte insofferenza, se non addirittura opposizione armata, come nel caso del brigantaggio meridionale che impegnò a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento circa 120 mila soldati. Fu una sorta di guerra civile espressa da una parte delle popolazioni meridionali che così contrastava ciò che non veniva considerato l’Unità d’Italia, ma al contrario un’azione di conquista del Regno di Sardegna, Superata la prima fase di unificazione, difficile e conflittuale, presso il suddetto Ministero degli Interni nel 1888 venne istituita la Direzione Generale per la sanità, primo segno importante del ruolo e della specificità che assumevano i problemi sanitari nel nuovo Regno: ad essa furono attribuite apposite competenze e responsabilità, poi conservate fin dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Si può pertanto dire che, sul piano sociale, dal 1861 i Governi lavorarono essenzialmente su due fronti: uniformare sull’intero territorio nazionale la legislazione in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera ed affrancare l’intervento sanitario e medico dalle caratteristiche proprie di una attività caritatevole, per lo più sostenuta, sotto l’aspetto finanziario, da opere di beneficienza. Senza voler ripercorrere tutta l’evoluzione normativa italiana, ricordiamo la legge 22 dicembre 1888 n.5849, che riorganizzò i settori dell’igiene e della polizia sanitaria, e soprattutto la legge 17 luglio 1890, cosiddetta legge Crispi, che assunse una portata storica per il mondo della sanità e dell’assistenza: gli ospedali, le case di riposo, le opere pie furono trasformati da enti privati in Istituti di assistenza e beneficenza (IPAB). Fu una rivoluzione epocale che fece assumere allo Stato un ruolo centrale nella tutela della salute. Per misurare comunque la distanza del nostro paese dalle realtà europee più avanzate, occorre ricordare che in quegli stessi anni (1887), sotto l’impulso del Cancelliere Otto Von Bismarck (espressione di un governo conservatore dal 1862 ak 1890) la Germania introdusse un modello sanitario che prese del suo leader politico, dando una copertura assicurativa completa a tutti i lavoratori dell’industria, all’interno di un regime di leggi sociali a favore dei ceti più bisognosi. La differenza tra le due realtà nazionali era data principalmente dalla presenza, in Germania, di una industria forte ed in grande espansione, nonché da un sindacato politicamente rilevante di chiaro orientamento socialista, il che determinò, al fine di garantire uno stabilità dello Stato, un concerto di iniziative sociali di particolare rilievo. L’Europa, successivamente alla prima guerra mondiale ed in conseguenza dei cambiamenti politici, sociali ed economici determinati dal conflitto, che fecero emergere la necessità di un quadro più ampio di tutele, a fronte dell’emergere di un nuovo mondo del lavoro e di nuove classi sociali, visse un relativo e parziale periodo di pace, durante il quale i governi nazionali prestarono una maggior attenzione ai lavoratori, alla maternità, ai minori e disabili. Conseguentemente venne prodotto un ventaglio di riforme che portarono ad introdurre un sistema assicurativo-previdenziale e nuove forme di assistenza sanitaria ai lavoratori. E’ di quegli anni in Italia la creazione di istituti pubblici quali Inail, Inps, Enpas. Finito il secondo conflitto mondiale, con decreto luogotenenziale del 12 luglio 1945 n.417 venne istituito l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità, il quale, subentrando alla già citata Direzione Generale per la sanità del Ministero dell’Interno, fu deputato allo svolgimento di funzioni comprendenti “la tutela della sanità pubblica, il coordinamento e la vigilanza tecnica sulle organizzazioni sanitarie e sugli enti che hanno lo scopo di prevenire e combattere le malattie sociali”. Era evidentemente una situazione provvisoria, determinata dalla conclusione del conflitto e dalle traumatiche vicende della ricostruzione politica e sociale del nostro paese. Su tale scenario, ancora incerto e confuso sul fronte legislativo, si inserisce prepotentemente la Costituzione con la forza dirompente delle novità rappresentate dalla istituzione della Repubblica, dopo il referendum costituzionale del 2 giugno 1946, dal nuovo concetto di Stato e soprattutto con il suo alto messaggio, contenuto nella parte dei “Principi fondamentali”, dalla centralità della persona e dei suoi diritti, politici e sociali, e dai connessi inderogabili doveri di solidarietà economica, politica e sociale. Cambio storico, messaggio universale, costruzione di un nuovo percorso con al centro l’uomo. La centralità dell’art. 32 della Costituzione

Con l’articolo 32 della Costituzione, si sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. La forza di tale articolo è racchiusa nei seguenti concetti: – La tutela della salute è l’unico diritto che viene definito “fondamentale” dalla Costituzione – Si parla di diritto dell’individuo, e non solo del cittadino – Tale diritto è interesse della collettività – Si introduce il concetto di gratuità. Ma non basta: l’articolo deve essere letto ed interpretato. In questo modo viene rafforzato il principio di fondo, alla luce di altri articoli della Costituzione, a partire dall’articolo 2 che parla di diritti inviolabili dell’uomo, ma anche di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, e dall’articolo 3, che sottolinea come tutti i cittadini abbiamo pari dignità sociale ed uguaglianza davanti alla legge, senza distinzioni di sorta. I precetti costituzionali determinarono un radicale cambio di rotta, modificando organizzazione e livelli di responsabilità nel campo sanitario, anche se occorsero anni per una più puntuale applicazione del dettato costituzionale. Anche in questo caso, altre contingenze furono le priorità dei Governi, quali la rinascita, la ricostruzione, la pacificazione nazionale, la ricostruzione dei rapporti internazionali, la formazione di una rete industriale competitiva e moderna. Ma dell’evoluzione del sistema salute parleremo nel prossimo capitolo. Qui ci preme evidenziare come il processo, iniziato nel XIX secolo, con la responsabilità del comparto sanitario attribuita al Ministero dell’Interno, trovò un punto di approdo sostanziale con la legge 13 marzo 1958 n.296, con la quale venne istituito il Ministero della sanità, affiancato da organi tecnici quali il Consiglio Superiore di Sanità e l’Istituto superiore di Sanità. A livello periferico operavano uffici di medici e veterinari provinciali, uffici sanitari dei Comuni, e con competenze più limitate, le Prefetture. Il significato profondo di tale riforma era dare finalmente dignità di Ministero e quindi centralità di considerazione, nelle politiche generali di governo del paese, alla salute del cittadino ed alla tutela del diritto conseguente. La salute del singolo e della comunità diventava uno degli aspetti fondamentali di azione politica e di qualificazione dell’attività dello Stato, nella consapevolezza che la coesione sociale passava anche attraverso a politiche di tutela, di crescita sociale, di benessere.

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