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La lotta alle mafie nel ricordo di Letizia Battaglia



diTiziana Bonomo


Trent’anni e un giorno dall’inizio delle stragi mafiose del 1992. Trent’anni e un giorno dal tritolo piazzato sull’autostrada Palermo-Mazara del Vallo in attesa del passaggio delle macchine con a bordo il simbolo della lotta a Cosa Nostra in Italia. Trent’anni e un giorno dalla morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo. La battaglia per la legalità deve superare il muro dei numeri tondi, perché va combattuta ogni giorno, senza distrazioni, va vissuta giorno dopo giorno, senza cedimenti, perché soltanto l’esercizio quotidiano rafforza, insieme alla memoria, la convinzione che il coraggio ha sempre un senso nell’esistenza degli esseri umani ed è l’unico antidoto alla disumanità del male. La Porta di Vetro continua in questa battaglia con un articolo di Tiziana Bonomo dedicato Letizia Battaglia, una impareggiabile fotografa che alla lotta contro la mafia siciliana ha dedicato la vita. Mi.R.




Ieri sera su RAI 1 il film sulla fotografa palermitana Letizia Battaglia, morta il 13 aprile scorso all’età di 87 anni, mi ha fatto ripiombare nel ricordo della sua voce. Era il 25 Aprile del 2018, e alla Certosa 1515 di Avigliana, in occasione della festa della Liberazione, si commemoravano all’interno del “Valsusa Film Festival” i quarant’anni dall’uccisione di Peppino Impastato, il giornalista e militante politico della sinistra extraparlamentare nato, vissuto e morto a Cinisi, nel Palermitano, “feudo” del capomafia Tano Badalamenti. E fu proprio Badalamenti il mandante dell’assassinio brutale di Peppino Impastato, il cui corpo dilaniato dalla dinamite per inscenare un fallito attentato, fu eseguito la notte del 9 maggio del 1978, lo stesso giorno del ritrovamento a Roma, nel bagagliaio di una Renault4 di color rosso del presidente della Dc Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate rosse.


Con Letizia Battaglia dialogarono, tra gli altri, Carlo Bommarino il presidente dell’associazione Peppino Impastato, e Maria José Fava, la referente di Libera Piemonte. Di Peppino Impastato come non ricordare la magistrale interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film “I cento passi”.

Ecco che si intrecciano due storie e due personaggi, Letizia Battaglia e Luigi Lo Cascio, cui sono profondamente legata perché entrambi mi hanno fatto riflettere sul tema della mafia, della violenza, di una guerra mai dichiarata eppure viva nella nostra società. I due eccezionali protagonisti della scena artistica sia fotografica, sia cinematografica, hanno in comune la Sicilia, il carattere forte, intenso di veri palermitani.

Da un lato Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l'americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York e nel 2000 Luigi Lo Cascio vince il David di Donatello. Naturalmente entrambi hanno avuto altri riconoscimenti, ma il fatto che le loro narrazioni hanno molto da condividere sul tema della mafia è alquanto sorprendente.


Di Letizia Battaglia mi piace ricordare, da una sua dichiarazione, le foto che non ha mai fatto e di cui forse ha sempre dichiarato un rimorso: l’omicidio di Boris Luciano nel ’79 e quello di Giovanni Falcone nel ‘92: “Non potevo farle!”.


E Lo Cascio sembra – nel film di Marco Tullio Giordana - la reincarnazione di Peppino Impastato che come dice Morra al giornalista ucciso dalla mafia: "Peppino Impastato, rivoluzionario italiano".

La forza da vero rivoluzionario quando urla “sai chi abita qua? Zu Tano! Cento passi ci sono da casa nostra. Cento passi!! Salutiamo zu Tano, i miei ossequi!... mio padre gli lecca il culo come tutti gli altri, è solo un mafioso, come tutti gli altri… Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda. Noi ci dobbiamo ribellare prima che sia troppo tardi!”.


E anche Letizia Battaglia, interpretata da Isabella Ragonese, nel film di ieri sera “Solo per passione” recita “Che minchia serve quello che facciamo? È successo qualcosa? Non succederà niente perché questa è una città di merda!!!”. Anche lei rivoluzionaria per coltivare la speranza “Lo spazio che ci dà il giornale non basta dobbiamo fare una mostra… Se non riusciamo a far capire il rapporto tra la città e la mafia e tra la mafia e il potere... le collusioni… allora non riusciremo a far capire nulla…. acquisire una coscienza morale e politica altrimenti diventiamo mercanti di cadaveri”. È così che nasce la mostra a Corleone “patria” della mafia.

Poi dice “io non ho paura…” come Peppino Impastato. Peppino muore ucciso dalla mafia, Letizia si ammala per il troppo dolore vissuto, mangiato, visto, fotografato e mai digerito. Entrambi coraggiosi fino all’ultimo istante delle loro vite. Scrivere, combattere, andare contro corrente appartiene alla vera democrazia, all’unico vero senso che ci consente di ammettere di avere una coscienza viva pulsante per andare oltre alle sconfitte e alle prepotenze.




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