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La chiamata alle armi di Putin

Aggiornamento: 21 set 2022

di Vice


Si è stati facili profeti. Nel crudele e sanguinoso gioco delle offensive e controffensive in Ucraina, il vero padrone del teatro di guerra diventa specularmente la crescita esponenziale dell'uso delle armi. All'indomani dell'ammonimento del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il suo omologo della Federazione Russa, Vladimir Putin ha replicato con l'inizio della "guerra patriottica" che nella sostanza si è tradotto con la mobilitazione di 300 mila riservisti, secondo una nota dell'agenzia Ansa. In quello che si può configurare come un appello alla nazione, Putin ha affermato senza mezzi termini che "la Russia sta affrontando l'Occidente collettivo" che mira a disgregare il Paese. Nel suo discorso, il richiamo alla Patria è stato diretto e non ha esitato a coltivare l'enfasi, il pathos, il senso del sacrificio di una comunità "circondata" e "aggredita", secondo uno schema che i russi si trasmettono da generazione in generazione e un linguaggio che nella sua apodittica semplicità ripropone una costante della loro storia, anche se all'esterno tutto ciò può apparire oggi come un rovesciamento dei dati di realtà, dopo l'invasione dell'Ucraina del 24 febbraio scorso.



Eredità storiche: il messaggio di Stalin


Il 3 luglio del 1941, mentre le divisioni naziste della Wermacht dilagavano nella steppa russa sorprendendo l'Armata rossa e minacciando le più importanti città dell'Unione Sovietica, da Leningrado a Kiev e a Mosca, il dittatore Stalin si rivolse dai microfoni della radio al popolo sovietico con un sofferto proclama che diventerà però l'emblema della resistenza non soltanto dell'Occidente, ma dell'umanità a Hitler:


"Compagni, cittadini, fratelli e sorelle, combattenti del nostro esercito e della nostra flotta! Mi rivolgo a voi, amici miei! La perfida aggressione militare della Germania hitleriana contro la nostra Patria, iniziata il 22 giugno, continua. Nonostante l'eroica resistenza dell'Esercito rosso, nonostante che le migliori divisioni del nemico e le migliori formazioni della sua aviazione siano già sconfitte ed abbiano trovato la loro tomba sui campi di battaglia, il nemico continua a spingersi innanzi gettando nuove forze sul fronte. [...] La storia insegna che non vi sono e non vi sono stati eserciti invincibili. L'esercito di Napoleone era considerato invincibile, ma fu sconfitto successivamente dalle truppe russe, inglesi, tedesche. L'esercito tedesco di Guglielmo era pure considerato, durante la prima guerra imperialistica, un esercito invincibile, ma fu più volte sconfitto dalle truppe russe e anglo-francesi e infine venne disfatto dalle truppe anglo-francesi. Lo stesso bisogna dire dell'attuale esercito fascista tedesco di Hitler. Questo esercito non ha ancora incontrato una seria resistenza sul continente dell'Europa. Una seria resistenza l'ha incontrata soltanto sul nostro territorio. E se, in seguito a questa resistenza, le migliori divisioni dell'esercito fascista tedesco sono state disfatte dal nostro Esercito rosso, ciò vuol dire che anche l'esercito fascista hitleriano può esser sconfitto e sarà sconfitto come lo furono gli eserciti di Napoleone e di Guglielmo".



L'appello del Cremlino


Ottantuno anni dopo, i passaggi chiave di Putin non a caso ripropongono un messaggio storico simile, intriso dell'obbligo alla difesa e del diritto all'offesa in nome di una sopravvivenza che sarebbe precipitoso restringere o circoscrivere all'autocrate e al regime:


"L'obiettivo di questo Occidente collettivo è quello di indebolire, dividere, e infine distruggere il nostro Paese. Stanno già dicendo direttamente che nel 1991 sono stati in grado di dividere l'Unione Sovietica, e che ora è giunto il momento per la Russia stessa, che deve disintegrarsi in molte regioni in guerra tra loro. E loro hanno covato tali piani per molto tempo. Hanno incoraggiato bande di terroristi internazionali nel Caucaso, promosso l'infrastruttura offensiva della Nato vicino ai nostri confini. Hanno fatto della russofobia totale la loro arma, con cui per decenni coltivando intenzionalmente l'odio per la Russia, principalmente in Ucraina, Paese per il quale strano preparando il destino di testa di ponte anti-russa. [...] Se l'integrità territoriale del nostro paese sarà minacciata, certamente useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo".


Potrà funzionare per riassestare il suo regime? Di certo, Putin conta sul passato che in Russia non si può cancellare con un colpo di spugna. Più di venti milioni di morti nella Seconda guerra mondiale prolungano la loro memoria nelle case di ogni famiglia che conserva foto e medaglie dei caduti contro l'invasore nazista e, a ritroso nel tempo, cimeli di tutti i conflitti intrapresi da Santa Madre Russia, magari ostentati come reliquie nel connubio che salda insieme politica e religione, Putin e il Patriarca di Mosca Kirill. E ciò spiega il riferimento storico onnicomprensivo e identitario con cui il capo del Cremlino mira a suscitare l'amore di patria che si fonda oggi come ieri nell'idea di accerchiamento e a svuotare di contenuto quelle stesse proteste che sono affiorate oggi in Russia.


Ricercare la strada della pace


Putin non sarà e non è amato. Ma il concetto di amore al pari della paura da sempre assumono in Russia significati diversi da quelli tradotti nelle società occidentali che hanno alle spalle secoli di immersione nella democrazia. Alla stessa stregua, la valutazione di chi indica Putin o lo vorrebbe in crisi politica è viziata da parametri fuori sincro rispetto al sistema che lui incarna e non leggibili con le nostre lenti. Lenti comunque bifocali (sebbene sempre meno) e dunque in grado di aiutarci a guardare da vicino e a denunciare senza se e senza ma l'aggressore russo, quanto a individuare senza ombre ciò che si profila a distanza in un nuovo quadro internazionale di alleanze tra grandi potenze e aggregazioni di Stati cui spetta il compito di intervenire per sanare i guasti (troppi) che si sono sprigionati come da un Vaso di Pandora dopo la caduta del Muro di Berlino.


La controreazione della Casa Bianca all'intervento di Putin non si è fatta attendere e il presidente Biden ha definito le minacce nucleari "irresponsabili", mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha annunciato la richiesta di aumentare la produzione militare per sostenere l'Ucraina e per rifornire gli arsenali militari dei Paesi dell'Alleanza Atlantica. Da Kiev, il presidente ucraino Zelensky ha dato l'impressione di perseguire un raffreddamento delle tensioni, sostenendo di non credere a un possibile uso delle armi atomiche, convinto che il mondo impedirà comunque a Putin di usarle. Rimane sospeso il punto interrogativo e decisivo su come. Escludendo il ricorso a un "collettivo" impiego delle armi atomiche dell'Occidente per neutralizzare in tempo reale il lancio dei missili nucleari nemici (oggettivamente improponibile per l'elevato numero di testate presenti sul suolo russo) non rimane che la strada sensata del negoziato e delle trattative, di un tavolo attorno al quale discutere la sospensione delle ostilità e il ritorno al dialogo che ricacci in un angolo l'ossessione di risolvere la controversia con la forza, nell'interesse della sicurezza dell'umanità.


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