Bullismo, violenza, stragi, ma i giovani sono il nostro specchio
- Emmanuela Banfo
- 11 giu
- Tempo di lettura: 6 min
di Emmanuela Banfo

Violenza chiama violenza. Se la subisci, se fa parte della tua vita, nell’infanzia come nell’adolescenza, è più facile imparare ad esercitarla. La criminalità giovanile è fenomeno diffuso in tutto il mondo. La tragedia di Graz, in Austria, dove un ventunenne ha sparato all’impazzata nel suo ex liceo uccidendo dieci persone, è soltanto uno dei casi. E, puntualmente, ogni volta esperti e opinionisti si interrogano su presunte cause e rimedi. Talk show ridondanti di adulti che si colpevolizzano della serie è tutta colpa nostra o si assolvono mettendo sul banco degli imputati genericamente la società di cui loro sembra non ne facciano parte. E, poi, nella solita polarizzazione incapace di sintesi costruttive, da una parte si schierano coloro che chiedono pene più esemplari, di abbassare l’ età della punibilità giudiziaria, dall’ altra coloro che delegano al sistema scuola la risoluzione del problema.
Prima considerazione: se la violenza, fisica e verbale, dilaga in tivù come sui social, se gli osservatori di ricerca più accreditati ci dicono che il 63% di giovani dai 10 ai 25 anni quotidianamente è esposto a immagini e messaggi violenti trasmessi dal piccolo schermo o dai dispositivi digitali, come possiamo pensare che l’assuefazione al male non si traduca in normalizzazione del male? Partiamo dai dati poiché la percezione della realtà a volte differisce dalla realtà, anche se poi, a sua volta, la percezione incide nella costruzione di un comune sentire che produce effetti reali. Secondo l'Associazione Antigone, si esagera un po' nella comunicazione mediatica di una gioventù bruciata stile nuovo millennio, tutta social e smartphone, poca cultura e tanto rap. Esagerazioni che fanno titolo, aumentano le paure collettive, inducono al giustizialismo, a una stretta sulla morale e sui costumi.
Con il Decreto Caivano il governo italiano ha introdotto l’ammonimento del Questore tra i 14 e 17 anni e tra i 12 e 14 per i reati più gravi. Tra i primi effetti l’aumento dei minori nelle carceri. Citando Istat e Ministero dell’Interno, Antigone osserva che se un effettivo incremento della criminalità minorile c’è stata, non è nelle dimensioni veicolate dai media. Il Ministero dell’Interno segnala, infatti, che nel 2023 i minori nella fascia 14-17 anni denunciati e/o arrestati sono stati il 4,15% in meno rispetto all’anno precedente con una grande difformità tra Nord e Sud, periferie e centri urbani, là dove c’è un welfare efficiente e là dove non esiste e così via. Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza nel 2023 sono stati segnalati 31.173 minorenni, dei quali più della metà stranieri non accompagnati.
Tuttavia è bene non sottovalutare se il Rapporto Espad Italia 2023, condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) registra che il 40% della popolazione studentesca tra i 15 e i 19 anni delle nostre scuole superiori ha partecipato a risse, zuffe (+7% rispetto al 2019), il 12% ha preso parte a violenze di gruppo, il 30% ha ammesso atti di cyberbullismo. Lo conferma l’Osservatorio Indifesa 2024, realizzata da Terre des Hommes: 65% di giovani vittime di violenza, 63% di bullismo. La situazione non è migliore, anzi in molti casi peggiore, negli altri Paesi. L’Oms Europa ci dice che il 15% di giovani subisce atti di cybebullismo e ogni 7 minuti nel mondo un adolescente viene ucciso.
In Svezia, citata come esempio virtuoso sotto ogni punto di vista, sempre più minorenni sono reclutati dalla criminalità organizzata tanto che le autorità calcolano che circa tremila giovani appartengono a vere e proprie gang. Anche in una delle nazioni più garantiste al mondo e con case di detenzione che fanno vergognare le nostre carceri, qualora ci fosse bisogno di tale paragone per confermarne lo stato di degrado, sono in molti a pensare che l’impunibilità sotto i 15 anni favorisca la delinquenza. Basterebbe soffermarsi su quanto accade negli Usa per smentirlo. Soltanto nel Dipartimento di Polizia di New York nell’ultimo anno i minori autori di reati gravi sono aumentati del 37%. Per non parlare di quegli Stati dove migliaia di giovani sono condannati all’ergastolo senza rilascio anche per reati commessi quando avevano 8, 10, 11 anni.
Interrogarci è un dovere. La devianza giovanile non ha sempre radici socio-economiche o familiari. Il contesto ambientale è sicuramente incisivo, ma non è tutto. La globalizzazione della rete espone l’individuo a un mondo che è oltre i confini del suo abitare, fatto di famiglia, scuola, insegnanti, compagni di classe e così via. Ovvero relazioni reali con persone con cui condividere il quotidiano. Lo sconfinamento proietta in una dimensione che lo sottrae alle proprie responsabilità: se insulta, minaccia, fa circolare foto pornografiche, esercita stolkeraggio, lo fa a distanza come in un video-game, smanettando nella propria camera, nel sicuro di un’intimità che ormai s’è infranta nell’infinito cielo del virtuale.
Tutto diventa gioco, drammatico gioco che soddisfa il bisogno di protagonismo, di sentirsi al centro di una dinamica che ci si illude di governare. Neuropsichiatri, psicologi, educatori da tempo sono allarmati da neo-dipendenze come la sindrome di Hikikomori o la nomofobia di ragazzi e ragazze dipendenti dagli strumenti digitali tanto che non ne possono più fare a meno come se fossero drogati o alcolizzati. Recente il ricovero in ospedale, nei pressi di Torino, di un quindicenne in crisi d’astinenza da smartphone. A questo proposito la Fondazione Veronesi ha spiegato come il cellulare sia usato per regolare stati emotivi e tensioni interne. Una sorta di sfogatoio, ma anche di contenitore di frustrazioni e malesseri, una bomba a orologeria pronta ad esplodere.
Sono le ricerche sul campo che vedono abbassarsi sempre di più l’età in cui il telefonino è l’abituale compagno di strada, da mattino a notte. L’85% tra gli 11 e i 17 anni lo usa quotidianamente senza staccarsene quasi mai. Una vera e propria ossessione che crea alienazione e questa crea abbruttimento, un degrado che non è soltanto culturale, morale, ma emotivo poiché incide sul nostro essere più profondo. L’Osservatorio Indifesa registra che il 58% delle persone sotto i 26 anni vede nel revenge porn il rischio maggiore sul web. Seguono l’allontanamento dalla vita reale al 49%, il cyberbullismo al 46% (sale al 52% tra gli under 20).
In società violente come le nostre non si vede perché aspettarsi una gioventù non violenta. Il vero snodo è qui: una comunità che non vuole prendere coscienza della violenza che la abita. Violenza non è soltanto uccidere, picchiare, deturpare la natura, distruggere i monumenti, ma prevaricare, non avere rispetto dell’altro/a, non sapersi ascoltare a vicenda. In società dove non esiste capacità d’ascolto come pensiamo si possa formare una coscienza, a partire da quella individuale, del limite? L’altro/a è il mio limite, non devo calpestarlo/a come fosse un tappeto. Esiste un Io che non è ipertrofico, estendibile all’infinito come la grande rete fa credere. L’Io ha sempre un Tu col quale confrontarsi. Soltanto così si arriva a un Noi dove l’Io e il Tu coesistono, imparano a stare insieme senza calpestarsi.
Ma nella società dove il limite è vissuto come fallimento di sé si produrranno sempre di più narcisi frustrati dipendenti da tecnologie che diano loro l’illusione di onnipotenza. Il limite è una grande risorsa che ci permette di esplorare tutte le nostre possibilità di esseri sociali. Perché l’essere umano è essere sociale. Il limite non è un muro contro il quale andare a sbattere, ma un orizzonte che ci apre alla relazione facendoci crescere. Il solipsismo narcisistico deve lasciare il posto a quell’inesauribile formazione di sé stessi che dura tutto il tempo della vita.
Oggi più che mai le generazioni si confondono. Adolescenti adultizzati e adulti giovanilizzati perché nella dilatazione dell’Io che non ha riferimenti se non in sé stesso, si sono perse le tappe e la gradualità di quella meravigliosa scoperta che è la nostra esistenza. Un cammino da fare assieme ad altri, di esperienze che intessono i nostri giorni. Le diverse età che si assaporano ciascuna nella sua bellezza. Recuperare la noia dei giovani boomers che nelle lunghe estati delle vacanze scolastiche nient’altro avevano che libri, nuotate al mare o al fiume, bagni di sole, lunghi silenzi tra amici o amiche inseparabili. Annoiarsi ha il senso di una parentesi, di una sospensione che stimola la fantasia, la creatività.
La noia si vive, non si subisce. E poi, anche, recuperare il racconto, la narrazione e quindi l’ascolto di adulti che sapevano raccontarci i terribili anni delle due guerre mondiali, la fame e poi le cambiali da pagare negli anni Cinquanta, l’attivismo politico non solo di cortei, ma di studio, di insegnamento da parte di uomini e donne ricchi di storie. L’entusiasmo di imparare, il sapere come strumento che t’affina, ti fa essere persona migliore. Altro che le pubblicità su titoli universitari che promettono carriere e soldi facili. La conoscenza della storia, della filosofia e delle religioni, delle scienze è innanzitutto alimentazione sana per un vivere sano. Ma forse è proprio tutto questo che si vuole evitare. Meglio alienare la grande massa, meglio l’ignoranza che la lascia in uno stato di inferiorità, che l’abbandona alla manipolazione altrui. I giovani sono il nostro specchio.
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