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L’ultimo saluto ad Angelo Caroli, il giornalista che conobbe il calcio dal vero

Angelo Caroli, giornalista e scrittore, era scomparso da tempo, inghiottito nelle nebbie di una malattia dolorosa che ne aveva diradato il ricordo, in attesa dell’annuncio fatale. Così almeno, suggeriva l’inconscio. E ieri l’annuncio c’è stato ed ha messo fine ad un vuoto finora soltanto metafisico. Con Caroli si stacca dall’intonaco un altro pezzo del giornalismo sportivo torinese, della carta stampata degli anni Sessanta, sobria e tagliente ad un tempo, competente, capace di saldare relazioni vere e autentiche con i protagonisti dell’epoca, da Bruno Bernardi, che ci ha lasciato di recente, a Bruno Perucca, per rimanere nell’ambito della Stampa di Torino. Angelo Caroli aveva scritto per decenni su Stampa Sera, dopo un’esperienza formativa a Tuttosport, all’epoca non soltanto un giornale sportivo per la sensibilità culturale e politica che animava il suo direttore Giglio Panza. Anni epici del giornalismo torinese che sfornava talenti a ripetizione e che attirava il meglio dell’intellighenzia del nostro Paese. Con la cultura, Torino così spiazzava l’idea geografica della periferia, dopo averla messa ai margini con il potere della sua industria e lo strapotere di una famiglia che all’epoca portava il cognome di Valletta di nome Vittorio, fino al 1966 Presidente della Fiat. Angelo Caroli, studi classici, divenne giornalista dopo aver appeso le scarpette di calciatore al chiodo. Classe 1937, aveva indossato la maglia della Juventus al tempo di Giampiero Boniperti, la stella polare bianconera dal Secondo dopoguerra fino agli ai primi anni Sessanta da giocatore, poi Amministratore delegato e Presidente, dell’artista del pallone Omar Sivori e del gigante gallese John Charles, un trio inimitabile che aveva dato gloria e storia indelebile alla Vecchia Signora. Da calciatore Caroli girovagò ancora qualche anno per l’Italia: Catania, Lucca, Pordenone, per chiudere la carriera a Lecco nel 1963. Di lì cominciò un’altra vita, più intensa e completa, vissuta con il cuore sempre rivolto alla Juventus, alla quale la sua penna perdonava sempre qualcosina, come si perdona un’amante alla quale si è girato la schiena per orgoglio e per un pizzico di immaturità. Caroli non amava però i saccenti di calcio. Si limitava a tollerarli con naturale signorilità, sempre a patto che sottotraccia gli riconoscessero una superiorità di genere, ovviamente calcistico, che portava lui a comprendere che lo “scontato” visto dalla tribuna e trascritto sul taccuino non è il medesimo vissuto sul campo, magari scivoloso, in mezzo ad avversari aggressivi che non perdonano nulla. Esattamente, anche se questo Caroli non lo diceva per pudore verso la sua sofferenza, come nulla perdona la vita.

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