L'Editoriale della domenica. L'umanità ai piedi dell'azione preventiva Usa e di Israele
- Michele Ruggiero

- 21 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 22 giu
di Michele Ruggiero

La decisione del presidente Donald Trump di bombardare i siti nucleari iraniani con i più sofisticati mezzi in dotazione all'arsenale militare degli Stati Uniti si radica perfettamente e direttamente nella dottrina dell'azione preventiva assunta dal premier israeliano Benjamin Netanyahu per giustificare venerdì scorso l'attacco all'Iran. Si aggredisce per non essere aggrediti in maniera letale, definitiva. Si neutralizza il nemico che potenzialmente in un futuro prossimo potrebbe eliminarti con l'atomica. Deterrenza elevata all'atomo, perché non si esclude il ricorso all'atomica. Naturalmente, l'azione preventiva è diretta soltanto per le autocrazie, non per i regimi democratici, anche se nulla si dice se uno stato democratico cade nella dittatura o il suo rovescio.
L'unico elemento certo è la tendenza a privilegiare valutazioni unilaterali, che non contemplano il giudizio terzo, neutro. Nel caso di Trump, neppure le argomentazioni dei suoi diretti collaboratori, o riluttanti o meno inclini ad accreditare l'Iran degli autocrati ayatollah prossima alla bomba atomica, pur consapevoli dell'impresa di convincere proprio chi nel 2018 rinunciò all'accordo sui controlli del nucleare iraniano disegnato dall'amministrazione di Barak Obama.
Identici invece, sono gli effetti derivati dalla violazione del diritto internazionale e dalla svalutazione del primato della diplomazia sulle armi. Effetti negativi imposti sia dal presidente americano, sia dal premier israeliano, che collocano in un angolo semibuio sia i tentativi di negoziato con l'Iran avviato dall'Europa, sia dalle legittime e preoccupate dichiarazioni per i sottostanti pericoli di escalation avanzati dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres.
Onu o sempre meno credibile o sempre più screditato nell'opinione pubblica, e da essa considerata un carrozzone, anche per l'operazione di svilimento, disgregazione e impotenza che gli Usa, un Paese democratico, hanno perseguito negli ultimi anni contro l'organizzazione mondiale. E non solo nei confronti dell'Onu. Analogo destino ha colpito più emanazioni delle Nazioni Uniti, dall'Agenzia per i Rifugiati (UNHCR) - vessata quotidianamente da Israele, un Paese democratico, nella Striscia di Gaza - al contingente Unifil, la forza di interposizione militare, attaccato lo scorso ottobre dall'IDF israeliano, per rimanere in Medio Oriente, alla stessa Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA), le cui relazioni sono usate o a tempo o a pezzi, quelli più convenienti a sostegno delle proprie tesi.
Le conseguenze sono visibili e non favoriscano la pace. Né favoriscono la doverosa riappropriazione del significato delle parole, o mistificate o piegate a interessi di parte, che tendono comunque ad assuefare l'opinione pubblica alla catastrofe venduta come catarsi, all'anarchia come sicurezza. Riflessione autorizzata dagli stessi esiti delle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Conflitti lunghi e costosi per il numero di vite umane sacrificate e danaro profuso, che saranno stati pure vinti militarmente dall'Occidente, ma non dai valori che dice di incarnare, se a consuntivo (sempre parziale e in divenire) ci si ritrova ad ascoltare Trump felice nel descrivere la potenza distruttiva dei suoi Stealth B-2, quasi come un bambino che ha tra le mani l'ultimo dei suoi giocattoli, con Netanyahu che a distanza l'osserva come il burattinaio segue le mosse del suo burattino. Chissà dove è finita America First. E dove sono precipitate, a cinque mesi dalla sua elezione, la volontà di chiudere con le guerre e le assicurazione di un'era di prosperità per il genere umano.











































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