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L'Editoriale della domenica. L'ira funesta di Nordio che a ogni angolo vede "toghe rosse"

di Mauro Nebiolo Vietti


Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, e non solo lui, ha attaccato i magistrati perché una relazione dell’ufficio del massimario della Corte di Cassazione (che non rappresenta una decisione e non vincola nessuno) ha evidenziato alcuni passaggi critici del testo del Decreto sicurezza; se le osservazioni abbiano o meno un fondamento è questione che lascio agli interpreti del diritto, ciò che qui interessa è la reazione di Nordio che ha sostenuto trattarsi del solito attacco delle "toghe rosse". Ma registriamo che non si tratta del primo attacco e non sarà sicuramente l'ultimo.

Nordio però fa finta di ignorare che il CSM è governato da aree o conservatrici o che si richiamano al centro destra ed in teoria, se un magistrato viene meno ai doveri di ufficio e usa le proprie prerogative per scopi politici, tra l’altro neppure condivisi dall’attuale organo di governo, questo dovrebbe aprire un procedimento disciplinare garantendo così uno sbarramento interno agli attacchi che tanto preoccupano lo stesso esecutivo.

Dalle sue affermazioni sembrerebbe invece che Nordio ritenga che i magistrati che guidano il CSM siano così poco destrorsi e quasi per nulla di estrema destra (per usare in prima battuta un eufemismo) da essere ammucchiati con le cosiddette "toghe rosse"; non v’è dubbio infatti che, se una manovra (sempre secondo il Guardasigilli) ispirata da magistrati di sinistra per colpire il governo, non è fermata dal centro destra che governa il CSM, si tratta di un centro destra finto che nasconde al suo interno agenti provocatori con il risultato che la maggioranza che governa il CSM è poco di destra, ma, soprattutto poco fascista.

Il termine fascista qui non è usato a caso, ma solo in chiave storica e non deve suonare offensivo. Infatti, se prescindiamo dai periodi precedenti alla Rivoluzione francese, ove la magistratura era per lo più strumento governativo, le democrazie moderne hanno sempre avuto tra gli assi portanti l’indipendenza della magistratura e, sempre per restare nei tempi moderni, là dove la democrazia è stata seriamente intaccata o compromessa in via definitiva, è stato per fare largo ad autocrazie che, tradotte nel comune sapere italiano, rappresentano regimi di mentalità fascista, intendendosi per tale un regime ove non è ammesso il dissenso, l’immunità fa parte della carica, il popolo deve sempre applaudire ed essere contento e gli enti intermedi devono essere espressione dell’autorità centrale. Questa è ovviamente la configurazione finale preceduta dalle fasi intermedie ed una di queste è la demonizzazione della magistratura che rappresenta un contropotere in una democrazia basata sulla distribuzione equilibrata delle funzioni.

Il cammino non è veloce, ma non mancano i maestri (nonché suggeritori) come ad esempio il presidente magiaro Orban che è ormai a metà strada in questa sua marcia di avvicinamento al potere assoluto in Ungheria, dove la magistratura peraltro è già stata messa in un angolo. Molto più avanti è Erdogan in Turchia che ha decimato giudici e procuratori arrestandone una buona quota ed ha ora convinto (sic!) la magistratura ad arrestare l’unico oppositore e suo principale avversario alle presidenziali, Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul, e ieri mattina altri tre sindaci, Zeydan Karalar, primo cittadino di Adana, Abdurrahman Tutdere, alla guida di Adiyaman e Muhittin Böcek, che guida la città costiera di Antalya, nota metà turistica.

Sia la storia di Orban che quella di Erdogan passano attraverso la neutralizzazione della magistratura che, nel caso del secondo, si è evoluta passando dalla neutralizzazione ad un controllo diretto.

Noi abbiamo un vantaggio; finché la lotta alla magistratura è affidata a Nordio il rischio è modesto perché le sue azioni/reazioni sono più che altro uscite stizzite ed iraconde e poco tattiche, ma se la politica del ministro della giustizia è scarsamente efficace, ciò che preoccupa è quanto egli lascia intravedere sulle intenzioni finali. Ad un brutto intento si somma il deficit culturale del politico; i testi normativi sono sovente lacunosi e contraddittori con la conseguenza che la magistratura (anche se con una maggioranza conservatrice) deve annullare gli atti ed i comportamenti conseguenti; tralasciando ben altri confronti con il passato, i governanti della Prima Repubblica utilizzavano nei ministeri quasi sempre con le funzioni di Capo di gabinetto i Consiglieri di Stato il cui compito preciso era redigere (o correggere) i testi normativi voluti dai politici. Il politico esprimeva i suoi obiettivi ed il Consigliere di Stato li trasformava in proposte di legge o segnalava le ragioni che potevano impedirne l’approvazione. Come conseguenza gli incidenti di percorso con la magistratura erano rari e in quei casi il Capo di gabinetto approfittava di qualche provvedimento normativo generico (c.d. omnibus) per le modifiche necessarie. Operazione che passava tendenzialmente sotto silenzio, aliena da critiche verso la magistratura cui non ci si rivolgeva per screditarla. Ma, all'epoca, erano tutti dotati di un senso democratico di cui stiamo perdendo la memoria.

Chi allora avesse gridato alla congiura politica per un provvedimento dei magistrati si sarebbe coperto di ridicolo, ma, per trovarsi in questa situazione, occorre averlo il senso del ridicolo.

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