L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. L'assurda rinuncia alla Pace
di Piera Egidi Bouchard
L'uomo si fa la guerra e sembra che il clima abbia dichiarato "guerra" all'uomo. Ma non c'è contraddizione, perché tutto si muove all'interno di un modello di sviluppo cieco che contempla una doppia autodistruzione: la presunta onnipotenza dell'essere umano di poter schiacciare un proprio simile con la forza e per i propri interessi, e di piegare ai propri voleri la natura, che si difende.
Del resto, è quotidianamente visibile: l'umanità si divide in due parti per riunirsi in una sola, quando si tratta di fare affari. La prima si balocca con parole quali "democrazia" e "libertà" per giustificare con il presunto primato dei propri valori gli stessi comportamenti di acclarati e spietati dittatori con i quali spesso si "accoppia" per la ragione di Stato e la cosiddetta "sicurezza nazionale"; l'altra procede indifferente e malvagia nello schiacciare i diritti umani, demenzialmente consapevole che sono le stesse contraddizioni della prima a garantirle una posizione di rendita nell'esercizio del potere.
Dagli Stati Uniti è arrivato il segnale di verde per gli aerei da combattimenti F-16 da consegnare all'Ucraina. Una ulteriore escalation alla guerra che l'Occidente combatte contro la Russia, paese che ha portato lutti e distruzioni in Ucraina. Operazione legittima, se inquadrata nella visione della locuzione latina (ottusa, se aggiornata ai tempi) si vis pacem, para bellum; meno, decisamente meno legittima, se trascinata sul crinale dell'emarginazione della volontà di pace espressa dai popoli, volontà soffocata, se non addirittura criminalizzata. Unica voce contraria e solitaria, quella di Papa Francesco.
Eppure il potenti della Terra si sono riuniti a Hiroshima per ricordare il dramma della prima città che ha subito il 6 agosto del 1945 l'Olocausto nucleare. Ma mai commemorazione è suonata più falsa, dinanzi al rischio dell'uso dell'atomica e all'impennata delle spese militari, e quanto più ipocrita nel vedere i leader degli altri paesi che si stringevano consolatori attorno alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per il dramma dell'alluvione in Emilia Romagna.
Perché qui entra in gioco la difesa (negata) dell'ambiente. Infatti, come ha denunciato lo scorso mese il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) gli "investimenti" in armi sono al primo posto sull'agenda degli Stati. Esborsi nettamente superiori ai fondi promessi per mitigare la crisi climatica. Morale, come ha ricordato il quotidiano Avvenire, "la spesa militare dei governi del mondo dunque - in crescita senza interruzioni da otto anni - ha raggiunto l'anno scorso la somma record di 2.240 miliardi di dollari complessivi, pari a una crescita del 3.7% in termini reali rispetto all’anno precedente. In cifre si tratta di un aumento di ben 127 miliardi in un anno, che supera di gran lunga i 100 miliardi annui necessari a mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico ma che gli Stati del mondo scelgono di non destinare a tale scopo".[1]
Dunque una doppia rinuncia al benessere e al valore supremo della coesistenza civile: quello che ci offre l'ambiente e quello che ci deriva dalla Pace. E su quest'ultimo decisivo tema per l'umanità, proponiamo l'editoriale di Piera Egidi Bouchard, pubblicato anche sull'ultimo numero di Riforma del 19 maggio.
La Porta di Vetro
In una lontana intervista a Tullio Vinay (Incontri, 1998): «Proprio nel confronto con il Cristo – mi disse – è chiaro che la chiesa è chiamata non ad una politica partitica, col solito discorso di forze, ma ad una politica contro tutti i poteri che schiacciano l’uomo». È del ‘73 il suo viaggio clandestino nel Sud Vietnam, e il rapporto che ne pubblica Ho visto uccidere un popolo: Sud Vietnam, tutti devono sapere (Claudiana,1974). «Sì, quella battaglia mi ha portato in mezzo all’ambiente politico italiano ed europeo; Heinemann, presidente della Germania federale mi ricevette. Organizzai anche una delegazione di parlamentari europei a Washington. In tutta la mia vita politica io ho sempre portato un messaggio di agape: oggi lo farei in modo ancora più esplicito, con una chiarezza estrema. Di ritorno dal Vietnam, andai a una riunione ecumenica a Parigi. Ero rabbioso, e ho attaccato con violenza le chiese: Che fate qui? Cosa state a fare? Non ve ne occupate? Vergogna!”. Non è politica come ricerca del potere, è politica come servizio”».
E faceva un esempio: «Senza avere un’educazione specificamente politica, la vita sub luce Christi dà le indicazioni. Vengono le leggi razziali, mettono gli ebrei nei vagoni piombati, e allora che ci sta a fare la chiesa? Io ero appena pastore a Firenze, e ho cercato di salvarne quanti più potevo. (...) Quando mi hanno dato nell’82 la “medaglia dei giusti” all’ambasciata d’Israele, allora ho messo in chiaro le cose...». Un coraggioso discorso in difesa dei diritti dei palestinesi: «Non c’è avversario che non possa essere vinto dall’amore. Questa non è ingenuità, è semplicemente una politica diversa dall’attuale che manda in rovina il mondo (...). Basterebbe che quelli che si chiamano cristiani si comportassero in quanto tali. Tante energie a preparare la guerra, troppo poche a costruire la pace. Sono le pance piene dei cristiani che promuovono le guerre». E concludeva: «Io sono un uomo che ha una parola sola. L’unica bussola possibile per la vita è l’agape come è manifestata in Cristo. Essa ti dà la direzione in ogni settore dell’esistenza».
Riflessione estremamente attuale oggi. Le chiese cristiane, da oltre un anno immobili nella guerra – tra cristiani – di Russia e Ucraina: che cosa fanno le nostre chiese? Che cosa fa il Consiglio ecumenico, in cui sarebbe piombato un Tullio Vinay furibondo a ricordare le responsabilità per la pace: «Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace...» (Giov. 14, 27) Non siamo riusciti a ottenere neppure un cessate il fuoco, un inizio di trattativa, ed è invece la notizia di un aumento impressionante da parte dell’Europa di invio di armi; di escalation in escalation... Ma dove si vuole arrivare? Si vogliono mandare al macello intere generazioni di giovani? Perché si faranno inutilmente distruggere reciprocamente. Si vuole mettere nel lutto intere famiglie, le madri che portano la croce, come ha fatto fare papa Francesco, che ha “osato” anche pregare per le martoriate madri, ucraine e russe.
È l’unica voce profetica che compare dai ben allineati media, un pontefice vecchio e malato. «Occorre ritrovare il coraggio della parresia, della denuncia» – come diceva Padre Sorge in una sua intervista (B. Quaranta, Liberi di credere, Interlinea 2023), e se ne intendeva, nella lotta alla mafia. Il sentimento della popolazione, in Italia, è per la pace. E le nostre chiese, tacciono? Meditano? La diplomazia vaticana opera, con i suoi modi. E noi evangelici, non abbiamo forse rapporti internazionali, dialoghi da intrecciare, canali di comunicazione da aprire? O siamo tutti appiattiti sui nostri rispettivi governi, siamo diventati così “laici”, o meglio dire “secolarizzati” che non siamo più in grado di dire una parola profetica? Abbiamo il dovere della profezia. I governi passano, i politici passano, i partiti passano. Le chiese di Cristo, con la loro millenaria voce rimangono, e sono tenute alla testimonianza, che è sempre una voce autonoma rispetto ai rumori del “mondo”, perché «il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò – conclude l’apostolo Paolo – prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere» (Efesini 6, 12-13).
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