L’attenzione spirituale uguale benessere per chi soffre
di Padre Carmine Arice* |
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“Neural Correlates of Personalized Spiritual Experiences” è il titolo di una interessante ricerca pubblicata lo scorso anno dall’Istituto Nazionale della Salute presso l’Università di Oxford, a firma di eminenti studiosi del sistema neurologico quali i professori Miller e Balodis. In essa si mostra scientificamente l’influsso positivo della “pratica spirituale” sull’attività cerebrale dell’uomo, soprattutto se fragile. Come dire: per star bene l’uomo non ha bisogno solo di godere buona salute fisica e nemmeno, se malato, di avere cure sanitarie, assistenza e medicine; la persona umana ha bisogno anche di senso, ha bisogno di comprendere cosa muove il suo agire e cosa dà un orientamento significativo alla sua vita. Ha scritto Cicely Saunders, assistente sociale, infermiera, medico e psicologa (una persona, quindi, con uno sguardo integrale, nota nella storia della medicina per aver dato inizio agli hospice per le cure palliative): “Dopo aver lavorato tanti anni con le persone nella fase terminale della loro vita ho capito che la spiritualità appartiene a ciascuno di noi per il solo fatto di esistere, e questo anche per coloro che non professano un credo religioso”. Si comprende, allora, l’importanza di accompagnare spiritualmente le persone, soprattutto se vivono momenti difficili della vita, di prova, di sofferenza e di malattia. Sono convinto che relazionarsi con il senso della vita, riconciliarsi con sé stessi e con i propri cari, accettare la fase di sofferenza e la prospettiva della morte nella ricerca di un possibile senso, sono bisogni ricorrenti nella vita dell’uomo che vanno ascoltati ed elaborati, pena un’immensa tristezza, inquietudine e disorientamento; sono altresì convinto che un cammino come questo non sempre è facile farlo da soli. “Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro” ha scritto Emmanuel Levinas, filosofo personalista. Ricchi e poveri, presunti sani e malati, dobbiamo tutti attraversare il guado della sofferenza, ce lo sta dimostrando in modo così evidente la pandemia dalla quale facciamo così fatica ad uscire. Per questo è importante trovare una mano amica che ci aiuti non solo a sopravvivere ma anche a guarire le ferite dell’anima che a volte non sono meno profonde di quelle del corpo. Quando, poi, questo cammino giunge ad un incontro personale con Cristo, senso ultimo e definitivo della storia, allora possiamo davvero gioire per noi e per coloro che sono affidati alla nostra carità. Non a caso e con grande sapienza, la tradizione della Chiesa ci invita ad amare il nostro prossimo esercitando anche le opere di misericordia spirituale oltre che quelle corporali.