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Israele-Hamas: l'accordo ora non è più un miraggio

di  Maurizio Jacopo Lami 


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Confermo che tenteremo una tregua temporanea per far liberare i nostri ostaggi. In seguito negozieremo sul resto e si vedrà.

Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano oggi.


Forse questa volta le armi taceranno in Medio Oriente. Sembra infatti che l'ennesima proposta di tregua fra Hamas e Israele sia sul punto di essere finalmente siglata. A rendere più verosimili le speranze (anche se le delusioni sull'argomento sono state davvero tante e si corre il rischio di essere superati dagli avvenimenti mentre si scrive) due fattori davvero importanti: da una parte, la fortissima pressione internazionale su Israele, che, novità immensa, arriva a 360 gradi, persino dall'alleato principe per antonomasia, Stati Uniti; dall'altra, quella terribile sensazione di stanchezza morale che avvolge il popolo israeliano dopo otto mesi di sanguinoso conflitto.

Per gli israeliani che da sempre danno enorme importanza alla moralità del proprio agire come Stato, il sentirsi accusare da ogni parte di essere nel torto, è davvero una terribile prova. Ci sono i morti in combattimento dell'IDF, le forze armate israeliane, quasi trecento; ci sono le  vite degli ostaggi, sempre in bilico fra salvezza e baratro; ci sono gli sfollati delle zone del Nord di Israele, che hanno dovuto spostarsi per evitare gli attacchi degli Hezbollah libanesi.

Come si vede davvero una serie di tragedie che pesano sulla Nazione, ma ciò che veramente strazia la coscienza di Israele è sentirsi disperatamente isolata, addirittura accusata di genocidio (e nulla deve fare più impressione al popolo di David che ha subìto nelle sue carni quelle atrocità e quell'orrore) e vede l'antisemitismo ritornare, nemmeno dissimulato, nel mondo. Per gli ebrei è come risvegliarsi in un incubo.

Così dopo almeno trentasettemila morti palestinesi (la cifra è ritenuta credibile anche dagli esperti statunitensi), dopo una serie impressionanti di distruzioni che hanno colpito almeno il settanta per cento delle abitazioni di Gaza, è giunta l'ora di raggiungere la tregua.

I punti principali prevedono sei settimane senza combattimenti, e con un graduale rilascio degli ostaggi israeliani, mentre i civili palestinesi dovrebbero poter tornare alle proprie zone di origine; inoltre, verrebbero rilasciati i prigionieri palestinesi in ragione di trenta per ogni ostaggio. Gli israeliani catturati il 7 ottobre da Hamas, e ancora vivi, sarebbero pochi; forse, nemmeno il quaranta su cento. E sono sicuramente tutti allo stremo. L' accordo si spiega anche così: Tel Aviv non vuole più sentire l'infinita litania del "stiamo vincendo, sappiate aspettare". Per fortuna Israele è una democrazia e nelle democrazie se l'opinione pubblica si muove davvero, le situazioni si sbloccano.

Netanyahu, che pur con le sue grandi colpe resta un vero politico e non un estremista da operetta come alcuni alleati del suo governo, ha compreso che era tempo di far parlare la politica.

                     

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