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In... "Colonia" con Beppe Navello: a Torino la pièce utopica di Marivaux

Aggiornamento: 2 set 2023

di Elisabetta Castiglioni




Dopo il successo al Teatro della Pergola di Firenze, dove ha debuttato in anteprima nazionale, arriva al Teatro Romano di Torino domani e lunedì (ore 21), 3 e 4 settembre, La Colonia, testo utopistico scritto da Marivaux nel 1750, ripreso e tradotto per la prima volta in italiano dal regista Beppe Navello[1].



E' un’opera, quella messa in scena dal torinese d'adozione Beppe Navello, che a distanza di quasi tre secoli ci riporta con tutte le sue suggestioni alla più cruda e dolorosa attualità, soprattutto declinata sulle cronache di violenza di genere. Ma è la condizione di subalternità, nello specifico, che le donne del Settecento, il secolo dei Lumi, non sono disposte a subire nella versione utopica di Pierre de Marivaux. Anzi. L'autore, proprio per dare corpo all'utopia, si spinge oltre, e sullo sfondo di un naufragio su un'isola deserta, proclama un'autentica sollevazione al femminile contro il dispotismo maschile: quello dei mariti, di uomini che pretendono di mantenere il loro status soverchiante anche nell'emergenza e, dunque, di legiferare senza coinvolgerle, per costruire un nuovo mondo in quella colonia sperduta in mezzo all’oceano.

Con le scene e costumi di Luigi Perego, le musiche di Germano Mazzocchetti e le luci di Orso Casprini, la commedia è pensata per numerosi personaggi – più della metà sono donne, rarità nella tradizione teatrale – ai quali Marivaux offre la possibilità di misurarsi con molteplici registri interpretativi. La compagine di interpreti, che fa parte de la “Compagnia di Sala Prove”, nata una decina di anni fa su iniziativa di Navello – è composta da Daria Pascal Attolini, Marcella Favilla, Luigi Tabita, Luchino Giordana, Maria Alberta Navello, Fabrizio Martorelli, Giuseppe Nitti, Cecilia Casini, Giulia Lanzilotto, Claudia Ludovica Marino, Erica Trinchera e Alessandro Panatteri. Le tematiche espresse, che risuonano straordinariamente contemporanee alle nostre orecchie, erano uno dei più controversi argomenti nel dibattito filosofico e sociale dell’Illuminismo francese.

Una commedia derivata da un insuccesso

Nel 1750 Marivaux decise di riadattare una sua vecchia commedia in tre atti che non aveva avuto successo, ricompattandola in un atto unico: ventuno anni prima, il 18 giugno 1729 quella commedia, sotto il titolo La nouvelle colonie, era stata rappresentata al Théâtre des Italiens e, nonostante il cast annoverasse alcune star dell’epoca come Silvia Balletti e Pierre François Biancolelli, era stata ritirata dopo una sola rappresentazione. Colpa del testo ispirato a una delle questioni filosofiche più scottanti sollevate dagli illuministi? Colpa di un eccesso di verbosità in un teatro come quello italiano che i parigini continuavano a considerare erede della Commedia dell’Arte? Una scarna cronaca del “Mercure de France” è tutto quel che ci rimane della recita del 1729 e non consente valutazioni storico critiche convincenti.

"Ma è un fatto significativo – argomenta Navello - che Marivaux, autore ormai affermato e consacrato alla fama, decida di rimettere mano a quell’opera dopo tanti anni: il problema dell’uguaglianza dei sessi poteva, sì, essere impopolare nella Francia Ancien Régime, ma non doveva essere rimosso per sempre nella storia contemporanea, proiettando la sua forza ineluttabile in un futuro prossimo nel quale le donne sarebbero state protagoniste. La colonia, quel secondo tentativo, Marivaux lo destinò soltanto alla lettura “in una Società”: come a ribadire che i tempi non erano maturi per declamare tanta sovversiva originalità sulle tavole del palcoscenico; come era successo d’altronde a un altro testo ispirato alle idee dei philosophes, L’Isola della Ragione, che l’autore si rammaricava di aver portato all’insuccesso teatrale, dopo il buon esito riscontrato invece attraverso le letture ad amici e intellettuali".

Beppe Navello

L'isola deserta, utopia palingenetica

Mettere in scena una commedia sulla rivolta delle donne non solo non comporta rischi, ha osservato più volte il regista, "ma è così politicamente corretto da rischiare quasi il conformismo. Eppure, non è conformista ascoltare le parole di un classico, cioè di un autore che non finisce mai di essere contemporaneo, per ricordare una delle più felici definizioni della parola, a proposito della questione femminile, tema sociale e filosofico ben lontano dall’essere definitivamente risolto 273 anni dopo. Proprio perché tiene conto con autoironia delle timidezze, delle resistenze, delle paure ancestrali che accompagnano da sempre l’accettazione di una parità completa tra le due metà del cielo. E poi perché è una commedia, forma teatrale che non si prende sul serio neanche quando fa finta di predicare, ma gioca con gli strumenti del buon teatro, con i caratteri, con le battutacce, con l’invenzione del naufragio in un’isola deserta, mitologica risorsa in teatro per rappresentare utopie palingenetiche".

Nel testo di Marivaux, il finale resta prudentemente senza esito rispetto alle speranze che ha generato durante tutto il tempo dell’azione. Ma è inevitabile, suggerisce ancora il regista, perché quella conclusione è provvisoria e prefigura un futuro diverso affidato alle generazioni che verranno.



Note


[1] Giuseppe Guido Navello, nato ad Acqui Terme nel 1948, dopo aver compiuto studi universitari in Italia e in Francia, si è formato teatralmente al Teatro Stabile di Torino come regista assistente di Mario Missiroli, tra il 1977 e il 1981. Le sue prime regie sono su testi contemporanei: al Teatro Stabile dell'Aquila, nel 1983, dirige Questa sera da Tosti di Alberto Gozzi e al Teatro Stabile di Torino, nello stesso anno, La casa dell’ingegnere di Siro Ferrone, tratto da La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda. In quegli anni intraprende anche la collaborazione con i programmi culturali della RAI, firmando centinaia di testi e regie radiofoniche per le tre reti nazionali dell’emittente pubblica. Nel 2001 fonda il Festival internazionale “Teatro Europeo” diventato poi “Teatro a Corte” perché itinerante attraverso le dimore sabaude del Piemonte: fino al 2017, il festival è cresciuto all’insegna dell’amicizia italo francese (più di cento compagnie d’Oltralpe invitate nel corso degli anni), diventando punto di riferimento dell’innovazione europea in particolare per le creazioni in situ. Dal 2007 al 2017 ha diretto a Torino la Fondazione Teatro Piemonte Europa, riconosciuta dal Ministero Teatro Stabile d’Innovazione, poi promossa a Teatro di Rilevante Interesse Culturale e che dal 2010 ha ottenuto in gestione il Teatro Astra di Torino. Dal febbraio al maggio 2017 ha occupato lo stesso Teatro Astra con l’imponente cantiere scenografico progettato da Luigi Perego per una riedizione della saga de I Tre Moschettieri in otto puntate, riprendendo i testi scritti trent’anni prima per il Teatro Stabile dell’Aquila dai maggiori drammaturghi italiani.


Le foto della rappresentazione sono di Filippo Manzini

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