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Il valore della sanità pubblica: "Un cuore nuovo, una nuova vita"


di Enrica Formentin


Da una storia è vera.


“Mi appoggio allo sportello di vetro ormai senza fiato e senza forze, al punto che non riesco nemmeno a descrivere all’operatore del Pronto soccorso i miei sintomi. In un attimo mi trovo seduto per i controlli del caso, considerato il mio status.

Ad intuito mi rendo conto che la situazione non è delle più felici. Arriva l’esito dei primi esami del sangue, i valori sono terribilmente sballati e i medici decidono di rifare un conteggio, in fondo l’elettrocardiogramma che mi avevano fatto poco prima non era allarmante. Anche il secondo risultato però conferma gli esiti del primo; non ci sono dubbi che siano corretti. Vedo i medici dubbiosi, non si spiegano questa incongruenza. Mi trovo così in breve tempo nella terapia intensiva dove il cardiologo che è di turno questa notte senza troppi giri di parole comunica a me e a mia moglie, che mi siede accanto, che sarà difficile superare la notte e che se dovessi essere forte per farlo al mattino seguente si sarebbero consultati con altri colleghi sull’iter da seguire per il mio strano caso".


Ho conosciuto A.Z (le iniziali sono fittizie) proprio quando arrivò nell’Unità Coronarica dell’ Azienda Ospedale San Luigi di Orbassano. Era spaventato, direi terrorizzato, arrabbiato..., lui che fino a qualche giorno prima conduceva una vita piena, dedito al lavoro, alla sua famiglia, allo sport, non capiva che scherzo il destino gli stesse riservando. Mai nella sua esistenza aveva conosciuto una terapia intensiva dove tanti occhi ti scrutano ogni secondo, persone sconosciute ti toccano, ti posizionano elettrodi dove il tuo elettrocardiogramma appare su di un monitor che ogni tanto suona e cambia colore e comprendi da uno sguardo se la situazione migliora oppure no.


“Osservo il monitor e mi sento cadere nel vuoto. I miei pensieri corrono a mia moglie, a mia figlia, alle persone care e all’ipotesi di non superare la notte. Nemmeno per sogno, non esiste la possibilità che io non la superi, mi dico, nonostante sia difficile non lasciarsi sopraffare dalla paura e dallo scoramento.

Poi ad un certo punto penso che il dottore, in questo frangente, avrebbe potuto essere un po’ più empatico ed edulcorarmi un po’ la pillola e quell’apparente mancanza di umanità per qualche giorno mi tormenta, mentre me ne sto sul mio letto dell’UTIC. Ma in realtà, dopo pochi giorni mi rendo conto che quel dottore aveva semplicemente fatto il proprio dovere, anche se avrei gradito un approccio un poco più dolce. Ma non siamo tutti uguali.

Intanto prendo consapevolezza che anche il mio morale sta lentamente migliorando, confortato dalla competenza e umanità di tutto lo staff del reparto, dal primario ai paramedici. Tutti qui ci rendiamo conto di essere in ottime mani. Piano piano sembra che si aprano diversi scenari che possano ipotizzare che cosa sta succedendo al mio cuore e mi sento un sorvegliato speciale: tutti monitorano l’evoluzione della mia patologia e costantemente i medici mi aggiornano perché è giusto che io sia partecipe e conscio di quello che sta accadendo.”


Questa è una storia vera che narra la vicenda del trapianto di cuore dal punto di vista di chi improvvisamente si è trovato coinvolto in un iter che lo ha visto prima malato-sofferente, più tardi trapiantato-rinato. Nonostante la pratica chirurgica del trapianto richiami di per sé questioni cruciali come il significato della malattia e della morte, i confini tra i corpi e il senso del dono, il trapianto di cuore sembra caricarsi di un significato aggiunto che non si evince negli altri trapianti. Questo è possibile perché i pazienti ricevono in dono non un organo “qualsiasi”, ma il cuore, organo-simbolo per eccellenza. La simbologia sul cuore, che lo vuole sede dei sentimenti e delle emozioni, sebbene in un primo momento venga rifiutata dai pazienti, successivamente mette in moto complesse e interessantissime interpretazioni sul trapianto.


L’attività cardiaca produce un lieve rumore che può essere ascoltato da chiunque accosti la mano al petto o al polso: questo leggero rumore del corpo che ci accompagna sempre viene trascurato dalla maggior parte delle persone, mentre diviene oggetto di attenzione da parte di chi subisce un trapianto che, infatti, percepisce il cambiamento tra l’attività cardiaca precedente e quella successiva. La consapevolezza di questo cambiamento costruisce un ponte tra il paziente trapiantato e il donatore. E non dimentichiamo il grande atto di altruismo dei genitori, figli, coniugi che porta a pensare al bene di un’altra persona. Dalle parole scritte dal paziente si evince la grande professionalità del personale ospedaliero che prende in carico la persona e la famiglia dimostrando grande professionalità e empatia, doti che permettono al paziente di avere fiducia nel nostro Servizio Sanitario.


“Infatti dopo l’ultimo accertamento i medici hanno constatato che il mio cuore ha avuto un peggioramento purtroppo irreversibile. Sto seduto sul mio letto. Quelle parole sono un treno in piena fronte, cerco di capirne il significato, ma non trovo spiegazioni razionali, tutto è circondato da neri pensieri, non c’è spazio per altro. Per fortuna in stanza con me, anche questa volta, ho accanto la mia famiglia che mi segue come un'ombra. Abbiamo accolto le parole del primario, donna prima che medico, persona di una dolcezza infinita e rara. Sono parole che suonano dure, aspre e senza diritto di replica: l’unica strada percorribile è quella del trapianto di cuore. Fermi tutti, riavvolgiamo il nastro: entro al Pronto soccorso perché fatico a respirare, avverto dolori allo stomaco e qualche mese dopo mi dicono che ho bisogno di un cuore nuovo? Non è concepibile...

Tuttavia la dolcezza con cui la parola trapianto è stata pronunciata è stata tale da darmi moralmente uno schiaffo che mi ha riportato con i piedi per terra. I miei cari, dopo che i dottori si sono congedati, mi hanno detto di non aver mai sentito parole così dure dette in modo così bello. Non posso che essere in totale accordo con loro.

Inevitabilmente una notizia del genere non ha fatto altro che riaprire la breccia che si era chiusa andando dallo psicologo e che ha dato spazio a pensieri negativi e sconforto. Ma ho una famiglia meravigliosa con me e degli amici che insieme allo psicologo mi consentono di tenere a bada i momenti in cui il morale scende sotto il livello di guardia. Con questa seconda notizia difficile da gestire, stravolgente direi, mi rendo conto quanto sia pesante la mancanza di un supporto ospedaliero psicologico, perché in quel preciso istante mi avrebbe fatto bene da subito. Credo veramente che una buona condizione psichica favorisca il processo di guarigione di qualsiasi patologia, non solo di quelle cardiologiche. Spero con tutto il cuore che questo mio piccolo contributo possa essere di stimolo per intraprendere nuove strade e per poter dare la possibilità ai pazienti di guarire sotto tutti gli aspetti.

Ora non mi resta che aspettare con fiducia, ma anche un po’ di impazienza, la telefonata dal centro trapianti delle Molinette, ma quella sarà un’altra storia.”


A pochi mesi da questa testimonianza il paziente è stato trapiantato presso l’Ospedale Molinette, Parco della Salute di Torino. Attualmente tutti i controlli di routine hanno avuto esito più che ottimo. Ha ripreso una vita normale, in tutte le sue attività giornaliere, compreso lo sport.

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