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Il taccuino politico della settimana: si riprenda il cammino, ma nulla è come prima

a cura di Claudio Artusi |

La settimana che abbiamo alle spalle, con la miccia della elezione del presidente della Repubblica, ha visto scoppiare tutta la brace che covava sotto la cenere del binomio Mattarella-Draghi. E non è un caso che siamo partiti da lì e siamo riatterrati lì. Mi sottraggo dai commenti e dalle valutazioni sul “come” si è arrivati, perché sono stati scritti fiumi di parole, cui giudico superfluo aggiungere le mie. Piuttosto invito a soffermarci sulle modalità, che ho trovato sorprendenti, con cui il presidente della Repubblica e il presidente del consiglio hanno approcciato questo appuntamento. Il presidente Mattarella ha ostentato, al di là del normale, la sua determinazione a lasciare, giungendo a rappresentare anche le modalità del suo trasloco, per tagliarsi esplicitamente ogni via di ripensamento. Ciò, nonostante il presidente Mattarella sia un uomo della politica e del parlamento e come tale è sorprendente che neanche lui abbia saputo leggere il livello di degrado e di balcanizzazione del corpo dei grandi elettori, che impedivano ogni altro sbocco al di fuori del Mattarella bis. Il presidente Draghi, non facendo nulla per allontanare da sé la tentazione di salire al Colle, anch’egli ha dimostrato di non avere il polso degli umori e del malessere del Parlamento, che lo hanno portato sulla soglia di una delegittimazione che avrebbe incrinato anche il suo attuale ruolo. Quanto sopra sta a dimostrare la gravità dello stato delle nostre istituzioni democratiche. Ora abbiamo un anno davanti che va usato bene, molto bene. Innanzi tutto il Presidente del consiglio deve tornare ad essere quello dei primi mesi del suo mandato: lucido, deciso, efficace, lontano dai compromessi. Poi occorre varare una nuova legge elettorale, richiesta peraltro dalla formazione del nuovo Parlamento, ma resa indispensabile perché col fallimento delle coalizioni il maggioritario parziale o totale non ha ragione di esistere. Ancora, a costo di qualche forzatura costituzionale, va reso eccezionale, se non impossibile, il fenomeno del trasformismo agendo sui regolamenti parlamentari: chi non si sente più, legittimamente, di proseguire l’esperienza politica nel partito che lo ha eletto, si dimetta. Infine occorre spostare una parte del peso di responsabilità e di potestà dal parlamento/esecutivo sulla presidenza della Repubblica, con conseguente voto popolare per eleggere quest’ultima. Si chiami presidenzialismo o semipresidenzialismo poco importa. Ai puristi della ortodossia della volontà dei padri costituenti, occorre ricordare che questo vestito costituzionale stretto ed inadeguato, sta costringendo a forzature di cui la più eclatante è l’allungamento, per la seconda volta consecutiva, del mandato presidenziale oltre il settennato canonico. Mattarella e Draghi, a seguito del grande sacrificio fatto, hanno la legittimità e la forza di cambiare le regole del gioco perché il Paese è con loro e, per il momento purtroppo, solo con loro.

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