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Il primo suono della campanella al Liceo Gioberti di Torino

Riceviamo e pubblichiamo


di Nadia Conticelli


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La foto del ministro sloveno che augura buona inizio agli studenti con un nuovo programma sulla sicurezza degli edifici scolastici e con la nuova app di segnalazione contro la violenza di genere rappresenta l’immagine di quanto l’Italia sia in fase di arretramento rispetto ai valori della civiltà occidentale, di cui il governo si ammanta e che invece sta delegittimando svuotando dall’interno.

I titoloni oggi sono soltanto per la “scuola senza telefonino”, come se di per sé fosse la tecnologia ad essere il problema e non l’uso distorto che ne viene indotto, e come se fino a ieri invece all’interno delle classi non si fosse fatto altro che giocare a Brawl stars.

La seconda “notiziona” è ancora più deprimente: il pugno di ferro, addirittura con l’arresto, degli studenti che aggrediscono gli insegnanti. Come se su quattro milioni di studenti italiani, il problema fosse concentrarsi sui due fatti di cronaca e, peraltro, neppure sul disagio che li ha prodotti. Ancora e sempre concentrare lo sguardo sul dito per paura di guardare la luna. Una parte, in questo caso micron, per il tutto.

Con questo misto di rabbia e amarezza che brucia in gola questa mattina, da insegnante, ho portato il saluto di buon anno scolastico alle prime classi del liceo Vincenzo Gioberti di Torino. E lì ho trovato l’energia di sempre, perché i nostri ragazzi e le nostre ragazze non sono l’immagine macchiettistica che la cattiva propaganda politica ci vuole restituire. Non sono i maranza, i rumorosi, senza bussola, la generazione perduta nel telefonino, e la risposta al disagio giovanile non è la camicia nera, ordine e disciplina, come stamattina campeggia dai manifesti torinesi del Fronte della Gioventù. È qui che sta il significato della difesa della scuola pubblica, in quel minuto di silenzio per Gaza che ha accolto la prima campanella, perché la scuola resta l’ultimo baluardo contro le armi di distruzione di massa, l’unico tempo “non perso”, dove si coltiva la mente e lo spirito. La scuola che orgogliosamente rivendichiamo è quella che nutre il pensiero critico e rifiuta gli stereotipi.

Rifiutate di farvi raccontare la realtà, ma raccontatela con i vostri occhi, con la mente con il cuore e, quando in quel racconto non starete comodi e comode, urlatelo con tutto il fiato che avete in gola. Questo è l’unico augurio che oggi posso fare agli studenti e alle studentesse.



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