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Il “Giorno della Memoria” va difeso ogni giorno

di Menandro|

Il 27 gennaio del 1945 si aprirono agli occhi del mondo gli orrori del sistema concentrazionario del lager di Auschwitz partorito dalle menti criminali del nazismo. Da quel giorno, l’umanità fu costretta a ammettere che il male si nutre anche del pregiudizio, dell’indifferenza e della voluta cecità di quanti esitano ad agire per il bene comune, diventando essi stessi complici delle peggiori nefandezze. Paradosso della storia, furono proprio i soldati e gli ufficiali dell’Armata Rossa, l’esercito dell’Unione Sovietica, a scoprire ciò che in patria – di cui avevano avuto o eco o esperienza diretta – era modello simile e diffuso di annientamento dei “nemici” interni: i gulag. Erano i famigerati campi di lavoro in Siberia con cui il Vozd’ bolscevico, il capo Iosif Vissarionovic Dzugašvili detto Stalin, dittatore spietato, dal viso butterato come la sua anima, aveva edificato ciò che è passato alla storia come il “Grande Terrore”. Un’eliminazione su scala industriale di milioni di persone (avversari politici e loro parenti della nomenklatura sovietica, alti gradi delle forze armate, poveri contadini, donne e uomini totalmente estranei alla lotta politica) ritenute pericolose per la presa e la conservazione del potere personale e incontrastato. Nel giorno della memoria dunque non è soltanto il ricordo della Shoah, il genocidio di sei milioni di ebrei, che deve occupare un posto di prima fila nelle nostre coscienze di cittadini democratici. E non solo la condanna del nazismo deve essere perpetuata in un giorno simbolo, con il rischio di una ripetitività liturgica in cui si smarrisce il significato e la forza morale delle parole. Nel giorno della memoria ci si deve sforzare di intrecciare tutti i fili dolorosi della Storia del primo Novecento per formare la trama, altrettanto dolorosa, della perdita del senso della libertà a favore dei totalitarismi di ogni colore e genere. Totalitarismi guardati – ieri come oggi – come soluzione ideale, se non addirittura fascinosa, per rispondere al disagio, alle ingiustizie sociali, al caos vero o presunto, attraverso rozze, quanto efficaci, tecniche di manipolazione del pensiero fondate sui sensi primitivi delle persone e richiamate da parole alte e impegnative come “popolo”, “patria”, “cittadinanza”, declinate però in forme esasperate, estreme, fino a violente. Il giorno della Memoria soltanto così ci potrà apparire il giorno di autentica unità per tutti che coloro che credono nei valori democratici, pronti a difenderli anche a costo del sacrificio personale. Soltanto così riusciremo a tenere insieme su unico quadro i sanguinari dittatori Hitler, Stalin, Benito Mussolini, Francisco Franco e a non distinguere le responsabilità personali o storiche, da cui si generano pelose attenuanti o nostalgie evocative: su come il nazismo ha ottenuto il potere, sul perché il comunismo è degenerato, sulle “cose buone” fatte dal fascismo o dal franchismo, quest’ultimo responsabile di un milione di morti nella guerra civile spagnola. Ma se siamo d’accordo che il giorno della Memoria è il ripudio di un odio omicida che non deve ripresentarsi, altrettanto d’accordo dobbiamo esserlo nella volontà di vivificarlo ogni giorno per non trasformare quello stesso ripudio in un cameo teatrale, fuori dalla realtà.

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