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I 60 anni del Pibe de Oro, mito senza età del calcio

Quando ci si chiede chi sia stato il giocatore di calcio più grande in assoluto, la risposta è priva di incertezze: colui che ha saputo far indossare ai suoi compagni la sua maglia, quasi trasferendo come per magia su di essi la sua classe, il suo temperamento, la sua insaziabile voglia di vittoria. Allora, la maglia non può che essere quella numero 10, il nome non può che essere quello di Diego Armando Maradona, il trascinatore della nazionale argentina con cui ha conquistato un Mondiale (1986), ne ha sfiorato un altro (1990), e di un altro gli è stata sottratta l’opportunità di vincerlo con una squalifica (sospetta) per doping (1994). E dal 1987 è stato il trascinatore del Napoli cui ha dato scudetti, Coppa Italia e Coppa Uefa, Supercoppa italiana. Complessivamente ha giocato oltre 700 partite con una media di realizzazione di 0,51 gol a partita. El Pibe de Oro, il ragazzo d’oro, soprannome che si è trascinato dietro nell’intero arco della sua carriera compie oggi compie 60 anni. E una parte di quei 60 anni appartiene di diritto a noi italiani per ciò che di meglio e di grande ha saputo regalarci con le sue prodezza calcistiche. Del resto, non è azzardato sostenere che se il fenomeno Maradona nasca argentino, esploda italiano. Su di lui l’aneddottica è sterminata, quasi enciclopedica perché abbraccia e alterna ricordi calcistici a quelli extracalcistici, alcuni macchiati anche di ombre pesanti, altri che ne hanno messo in luce la carica trasgressiva e anticonformista, poco incline alle ipocrite mediazioni, le sue passioni amorose e un privato che in un battito d’ali diventava pubblico. Ma non dimentichiamo che per reggere tutto ciò El Pibe de Oro, pressioni interne ed esterne, ha dovuto attingere a risorse probabilmente superiori a quelle che gli aveva riservato le sue origini ed estrazione famigliare. Le sue cadute hanno anche questa spiegazione e i suoi guai fisici nel tempo ne sono stati una testimonianza. A lui si devono goal strepitosi, da cineteca. Su tutti, quelli che hanno creato attorno a lui un’aura leggendaria restano la doppietta segnata all’Inghilterra ai mondiali del 1986 in Messico, con cui portò l’Argentina in semifinale. Il secondo goal è passato alla storia come il più grande nella storia del calcio, da un sondaggio promosso della FIFA, la Federazione internazionale calcistica: fu una cavalcata incontrastata da centrocampo verso la porta inglese difesa da Shilton, in cui gli avversari vennero soggiogati e ipnotizzati dalle finte, per poi essere dribblati come birilli, prima di depositare la palla in rete. Con il primo goal, invece, Maradona decise di entrare nella liturgia del sacro: segnò di pugno, mimando un colpo di testa. La terna arbitrale non se ne accorse e lui serafico disse successivamente che era stata “la mano de Dios”. Qualcuno vi volle accreditare uno sfregio alla “perfida Albione” per la sconfitta subita dall’Argentina nella guerra delle Falkland o Malvinas. Ma dubitiamo che Maradona vedesse così di buon occhio i macellai-criminali della giunta militare di Videla e soci che avevano trascinato nel baratro il suo Paese e fatto scomparire 30 mila persone, da spingersi a vestire il calcio della vendetta politica. Sicuramente, invece, se un Dio esiste, non può che essersi scelto come suo personalissimo giocatore proprio Maradona.

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