Elezione del Presidente della Repubblica e contraddizioni interne dei partiti
di Emanuele Davide Ruffino|
Il sale della democrazia è poter proporre modelli di sviluppo diversi su cui potersi confrontare e contare per giungere ad una sintesi sostenibile. Di antitesi, la nostra realtà ne produce parecchie, quello che manca è la riconduzione ad un progetto unitario che sappia superare i rivoli di eccezioni e distinguo con cui si dilettano i diversi poteri forti (o presunti tali).
Prendiamo i due più grandi e storici partiti americani: i democratici sono divisi da una tendenza egualitaria e disponibile a farsi carico dei popoli che spingono alle frontiere e una posizione più “liberal” volta a promuovere un liberismo progressista tutelante il sistema economico, pur non rinunciando ad apporre costantemente dei miglioramenti. Sull’altro fronte opposto i Repubblicani (il Grand Old Party di Lincon) spaziano dal libertarismo più accentuato al Theoconservatorismo espressione del rigidismo cristiano-protestante e rappresentante il più genuino spirito americano. Il bipartitismo interno alle forze politiche
Nonostante queste contraddizioni, i due partiti riescono ancora a trovare nella tradizione americana (quella che porta ancora a votare sempre e solo di martedì: la domenica era destinata alla festa ed il lunedì serviva a raggiungere le località dove vi erano i seggi) un compendio che, sia pur con molte eccezioni (la più drammatica l’assalto a Capitol Hill) permette ancora alla più grande democrazia di continuare a funzionare. L’Italia non fa eccezione: non c’è partito in cui non si annidi qualche contraddizione. La Lega deve rispondere alle esigenze di stabilità voluta dagli imprenditori del nord (compreso un arrivo moderato di immigrati per garantire sufficiente mano d’opera) al populismo dalle soluzioni estreme. Il Partito democratico, combattuto tra le responsabilità di governo e le tendenze barricadiere è soggetto a periodiche scissioni e ricomposizioni. Discorso analogo per i loro ex nemici di Forza Italia, tradizionalmente governativi e legati indissolubilmente al loro fondatore, ma costretti a seguire le rivendicazioni dei loro alleati. I 5stelle sono passati dall’aprire il Parlamento come una scatola di sardine ai più convinti antagonisti delle elezioni anticipate. I Fratelli d’Italia ancora eredi di un passato scomodo, basato sui valori nazionalistici, e la volontà di legittimarsi in un non ancora ben identificato contesto europeo. Non si salvano neanche i partiti identitari, come dimostrano le frequenti fuoriuscite dei loro componenti. Verrebbe quasi da dire che il bipartitismo vince sul monoteismo nonostante la non chiarezza della linea gerarchica. Tutto bene finché non occorre effettuare scelte precise, allorquando le differenze rischiano di esplodere. Il dilemma del Presidente
In mancanza di un’unità interna, i partiti italiani dovranno trovare una soluzione per scegliere chi dovrà rappresentare l’intera Nazione. Si cerca un nome, più che una soluzione politica, si cercano i dettagli di genere, un curriculum encomiabile, un punto d’incontro tra esigenze diverse (ma probabilmente vincerà la volontà di non apparire sconfitti).Per qualche strana coincidenza potrà anche uscire dalle urne un ennesimo nome qualificato che dia credibilità all’Italia, ma il busillis su quali principi ispirare l’azione di governo e come orientare la società, rimane una questione aperta. Anzi, la questione aperta. La scelta dell’arbitro, non è la partita, ma solo la condizione dal calcio d’inizio, del kick off: il proseguo è dato dal definire come sviluppare una società in crisi di valori e frastornata dal Coronavirus che ha reso tutti più insicuri e fragili. Su questo fronte, i dilemmi interni dei partiti possono tornare ad essere interessanti palestre, non solo per le singole nazioni, ma per fornire un esempio a quei paesi che invece giustificano il loro autoritarismo (attuato in tanti modi, da quelli più cruenti a quelli più subdoli) sottolineando i difetti delle democrazie bloccate. Guardando certe realtà, la confusione partitica che contraddistingue l’Occidente non sembra poi così brutta, ma bisognerà trasformare questo elemento in punto di forza affinché l’Occidente stesso possa essere un riferimento culturale per tutti i popoli oppressi e non solo occasione di sterili polemiche esasperate, derivate dalla volontà di affermare l’esistenza dei singoli soggetti politici, che non da un’idea su come evolversi. Un problema che il prossimo Presidente della Repubblica dovrà affrontare. Se non altro perché saranno in tanti ad eleggerlo, ma saranno ancora di più quelli già pronti a criticarlo, chiunque esso sia e qualunque cosa faccia.
Comments