Cinque aprile 1992, l’inizio dell’assedio di Sarajevo
di Marco Travaglini |
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Le immagini di morte che arrivano da Bucha, una città di 36 mila abitanti a nord nella zona della capitale ucraina Kiev, ci restituiscono interamente l’orrore della guerra: civili massacrati delle forze armate russe. Immagini che, se anche non fossero autentiche, come sostiene la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova e l’informazione di Putin tendente all’assurda – è la nostra opinione – tesi del complotto per “interrompere i colloqui di pace e intensificare la violenza”, ci confermano che la guerra in Ucraina non è diversa dalle altre che l’hanno preceduta: il denominatore comune rimane sempre l’orrore che deve diventare il compagno o la compagna inseparabile e permanente dei civili. Dunque, come sostiene il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “la guerra va fermata”. Senza se e senza ma. Ieri Bucha, con il suo seguito di smentite e controsmentite che rischia di destabilizzare la ragione e fiaccare la lucidità del pensiero, senza le quali si spalanca la strada alla propaganda come unico metro di misura degli avvenimenti. La strada che porta direttamente all’inferno di un crescendo militare. Domani, 5 aprile, ricorrono i trent’anni dall’inizio dell’assedio a Sarajevo, la morsa che i serbi strinsero attorno alla popolazione musulmana. Nessun parallelismo. L’orrore non ne ha bisogno. La Porta di Vetro
La Maršala Tita, il viale che porta il nome del maresciallo Tito, è l’arteria principale che taglia in due il centro storico di Sarajevo. Dieci anni fa, il cinque di aprile del 2012, vennero disposte lungo quella via nel cuore della capitale bosniaca, una accanto all’altra, undicimilacinquecentoquarantuno sedie rosse. Ottocentoventicinque file di sedie vuote che dall’alto apparivano come un fiume color del sangue che scorreva lento per circa ottocento metri tra palazzi, cattedrali, moschee e sinagoghe. Ciascuna sedia ricordava una delle persone uccise durante il più lungo assedio della storia moderna che iniziò quel giorno di vent’anni prima, vittime dei cecchini e dei bombardamenti delle forze militari e paramilitari serbe. Quel giorno Sarajevo ospitò un inconsueto concerto davanti a quelle sedie vuote. Come disse ai giornalisti Haris Pasovic, l’organizzatore dell’evento, quelle sedie restarono vuote “poiché gli spettatori, tutti colpiti a morte, non hanno avuto la possibilità di assistere al concerto. Tutte persone uccise senza alcuna ragione, civili e militari, solo perché erano abitanti di questa città”.