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Aspettando Godot e… Stellantis

di Adriano Serafino|


Dopo mesi di attesa, si riunisce oggi il tavolo di trattative tra Governo, sindacati e la multinazionale dell’automotive Stellantis. Al centro del confronto un tema urgente: il futuro degli stabilimenti italiani. Un’incognita che l’era Marchionne aveva congelato, complice anche le divisioni sindacali (non del tutto sopite tra i metalmeccanici), ma diventata prioritaria con la nascita di Stellantis.

Aspettando Godot, grande opera teatrale di Samuel Beckett, è diventato un modo di dire per indicare una situazione – sia nelle vicende personali, sia in quelle politiche o sindacali – in cui si continua ad attendere, passivamente ma fiduciosi, un qualcosa d’importante che appare imminente. Stellantis aspetta il mercato… i sindacati aspettano Stellantis… Insomma, si aspetta Godot per il futuro di Mirafiori e per i progetti di Stellantis in Italia? Pensiamo di sì e vi invitiamo a riflettere su quanto detto da Carlos Tavares nell’intervista a Federico Fubini, sul Corriere della Sera, quasi due mesi fa, il 18 gennaio 2022: (…) Chi dovrebbe pagare quel 50% di costi aggiuntivi dell’auto elettrica? Gli Stati, i consumatori? Per quanto tempo chiede incentivi? «Bisognerebbe che gli incentivi fossero mantenuti almeno fino al 2025. Ma non credo che i governi potranno continuare a sovvenzionare la vendita di veicoli elettrici ai livelli attuali, non è sostenibile dal punto di vista del bilancio. Quindi torniamo al rischio sociale. È la brutalità del cambiamento che lo crea. Se gli Stati riescono ad accompagnare questa transizione con delle sovvenzioni per cinque anni, forse ce la caveremo. Altrimenti si fanno prendere più rischi sociali all’insieme della cittadinanza». (…) Lei ha annunciato che non ci saranno chiusure di impianti in Europa. È ancora valida questa promessa? E si applica anche alla vendita di siti? «Chiudere significa mettere un lucchetto alla porta e mandare tutti a casa. Non l’abbiamo fatto. E se posso evitarlo, lo eviterò. Di solito mantengo le mie promesse, ma dobbiamo anche restare competitivi. Il futuro dei nostri siti dipenderà anche dai vincoli politici sulla decarbonizzazione in Europa e dalle sue conseguenze sul mercato dell’auto». (…) L’Italia ha i costi di produzione più alti. I miglioramenti richiesti sono stati raggiunti? Se non lo fossero, come agirà? «Un anno fa, ho notato che in Italia il costo di produzione di un’auto era significativamente più alto, a volte doppio, rispetto alle fabbriche di altri Paesi europei, nonostante un costo del lavoro più basso. Questo ha a che fare con l’organizzazione della produzione, che va migliorata. Se applichiamo all’Italia le buone pratiche che esistono nel nostro gruppo, l’Italia stessa avrà un buon potenziale. Un problema particolare che la riguarda è il prezzo fuori misura, eccessivo, dell’energia. Abbiamo avuto una discussione estremamente virulenta con i fornitori di energia su questo punto. Rispetto ad altri Paesi dove produciamo, salta all’occhio…». All’inizio di marzo, ad Amsterdam, Carlos Tavares ha illustrato gli obiettivi del “Dare Forward 2030”; il sindaco di Torino Stefano Lo Russo ha espresso il suo commento e ciò che intende fare in “Il futuro di Mirafiori e le strategie di Torino” con l’intervista a Diego Longhin su La Repubblica che così inizia: Cirio e Lo Russo in missione dall’ad di Stellantis – Giovedì 3 marzo, il sindaco ha visitato la fabbrica: “Resterà un tassello fondamentale anche con la transizione: ho due elementi per essere fiducioso ”. Un confronto con l’amministratore del gruppo Stellantis per capire il futuro di Mirafiori e dei siti piemontesi del gruppo. È la nuova missione del sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, e del presidente della Regione, Alberto Cirio, che sulla questione auto e Stellantis si muo-vono insieme. Ora l’obiettivo è incontrare Carlos Tavares per discu¬tere delle prospettive locali all’interno dei paletti del piano “Dare Forward 2030”, cercando di capire quali possano essere le leve dello sviluppo. (…) Il quotidiano della Cisl “Conquiste del Lavoro” commenta l’annuncio di Carlos Tavares in “Stellantis: verso il 2030 tutelando le realtà italiane” riprendendo la dichiarazione congiunta del Segretario generale della Fim-Cisl Roberto Bertaglia e del segretario nazionale Ferdinando Uliano (resp. settore automotive) che così inizia: Un piano strategico e ambizioso, dal titolo Dare Forward 2030, Osiamo verso il 2030, che punta ad ottenere ricavi di oltre 300 miliardi di euro e produrre cento nuovi modelli entro la fine del decennio, tra i quali il primo suv Jeep 100% elettrico in arrivo a inizio 2023. Da Zaandam, vicino Amsterdam, il ceo Carlos Tavares non dà indicazioni precise sul futuro delle fabbriche italiane e non arriva neanche la notizia della firma dell’accordo per la Gigafactory di Termoli, per il quale ci vorranno ancora alcune settimane. Tavares assicura comunque che l’Italia è una delle colonne del Gruppo e che si sta investendo per rilanciare Alfa e Lancia e per elettrificare la Fiat. “È stato indubbiamente utile conoscere le strategie complessive del Gruppo Stellantis, la sua visione e le scelte di prospettiva di un settore in forte cambiamento” all’unisono Benaglia e Uliano, ma gli stessi sottolineano anche che è indispensabile comprendere quali siano le scelte di investimento e di prospettiva che riguardano le realtà italiane di Stellantis. (…) I sindacati sono, da tempo, in attesa di risposte “per capire” le reali intenzioni di Carlos Tavares (come già anni addietro con Sergio Marchionne): in altri termini, attendono qualcosa di nuovo come i due vecchi signori di “Aspettando Godot”. Eppure le risposte chiave per comprendere quanto può avvenire a Mirafiori e negli stabilimenti italiani sono già state date da Tavares, che a sua volta attende una risposta non da Godot, ma dal mercato, più o meno la filosofia che fu di Marchionne… Da Amsterdam, fa inoltre sapere che non esiste alcun interesse e utilità perché lo Stato italiano (con Cdp) entri nell’azionariato di Stellantis. I sindacati – come pure gli amministratori torinesi e piemontesi – ripetono in ogni loro dichiarazione “che vogliono capire…”, ma se esaminiamo con attenzione le parole di Tavares le cose dette appaiono sufficientemente chiare… senza ricorrere al traduttore di Google! Il sindacato non se la sente, non ha maturato la capacità per aggiornare la sua strategia, e neppure s’interroga se per avere qualche chance di successo debba essere unitaria; passivamente si adegua che l’occupazione decresca in modo “morbido” con montagne di ore di Cig e di contratti di solidarietà finalizzati all’uscita anticipata dal lavoro.Pur coscienti che il motore elettrico comporterà una riduzione di mano d’opera per la costruzione delle auto elettriche, non riflette neppure di adeguare la contrattazione, includendo tra i punti prioritari la riduzione dell’orario, con finalità e modalità di finanziamento ben diverse da quanto fatto nel secolo scorso. Infine, perché lasciare nell’oblio – a proposito dell’aspettare il mercato – quanto disse Sergio Marchionne, nel 2016, agli studenti della Luiss? Perché i sindacati, in particolare quelli che più confidano e si sentono rassicurati dalle parole e dalle promesse dal ceo e dal presidente di Stellentis, non si danno una mossa coraggiosa prendendo spunto dalle affermazioni di quel manager drammaticamente scomparso? Fabio Martini, su La Stampa del 28 agosto 2016 così scriveva. “[…] I mercati sono senza morale. Serve agire con coscienza”. Nella grande aula della Università Luiss, davanti a studenti dei paesi dell’Unione europea, Sergio Marchionne sta sciorinando consigli, suggestioni e concetti in parte diversi dagli stereotipi che gli vengono solitamente attribuiti: «Non possiamo demandare al funzionamento dei mercati la creazione di una società equa: i mercati non hanno coscienza, non hanno morale», «se li lasciamo agire come meccanismo operativo della società, tratteranno la vita umana come una merce». E ancora: «C’è un limite oltre il quale il profitto diventa avidità». (…) I mercati si formano e s’indirizzano con gli investimenti che un Consiglio di Amministrazione decide. In questi anni una buona fetta dei profitti hanno premiato gli azionisti con consistenti cedole, in particolare per John Elkann e soci. È una grave anomalia quella che porta i sindacalisti a “sognare” un ipotetico posto nel Consiglio di Amministrazione, per rappresentare i lavoratori, e nel contempo a “dimenticare” di chiedere – in questa fase difficile della transizione ecologica e digitale – che sia posto uno stop per alcuni anni alla distribuzione di quote dei profitti agli azionisti (cedole) al fine di indirizzare più risorse agli investimenti per la transizione. A questa “dimenticanza” fa seguito l’insistenza di richiesta di sostegno finanziario “al pozzo di San Patrizio dello Stato”. Le due cose stridono. È forse retrò dire questo? Cose dell’altro secolo?

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