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Afghanistan dimenticato, bombe e terrore a parte

di Menandro|

Il paradosso della conseguenza è ritrovarsi a parlare dell’Afghanistan attraverso i vocaboli del terrore, i morti e i feriti, autobombe e kamikaze, di cui si apprende quotidianamente dai dispacci di agenzia che arrivano da Kabul, come ieri, o da Nangarhar, come venerdì scorso, e prima ancora da Kandahar, secondo l’allucinante rituale delle esplosioni nelle moschee il venerdì santo. Oppure, il racconto del paese passa attraverso la continua sottolineatura delle differenze religiose e etniche, che oggi emergono più per la presa di potere dei talebani, che per quanto realmente vissute dal popolo afghano come divisive in una società certamente chiusa, maschilista, retrograda, ma che nelle sue principali città aveva cominciato a respirare e a diffondere un clima culturale e intellettuale nuovo con la presenza delle forze militari dell’Occidente. Se non scoppiassero le bombe che dilaniano e straziano corpi innocenti, chi parlerebbe o scriverebbe più dell’Afghanistan? Dal 15 agosto, dal collasso del governo legittimo, dall’assedio dei talebani all’aeroporto di Kabul per impedire a migliaia di persone terrorizzate la fuga dal paese, la speranza di un Afghanistan moderno sopravvive soltanto nel ricordo di chi vi vive. Le cronache delle violenze perpetrate dagli studenti coranici su donne e su quanti hanno avuto contatti con la presenza occidentale non lasciano dubbi: sulla società civile afghana è caduto un opprimente velo nero che blocca sul nascere la libera circolazione dei pensieri, delle parole, delle scelte di vita. La libertà è sotto il tallone di un regime che ha modellato la religione secondo i propri fini, con un radicalismo esasperato della Sharia e dei precetti islamici. . Un ritorno al medioevo: lo si dice e lo si scrive con un automatismo lessicale da risciacquo della propria coscienza, così da apparire una reazione fine a se stessa che non produce aspettative sull’opinione pubblica distratta da altre vicende. E forse, non crea neppure pietà per un paese da troppi decenni in guerra.

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