Addio Pablito, matador azzurro delle notti vincenti di Spagna ’82
Il ticchettio sulla tastiera è rapido a scriverne il ricordo, rapido quanto lo era lui in area di rigore. Del resto, non si può che scrivere di getto di Paolo Rossi, e i sentimenti ti soffocano quando l’immagine va a quel grandioso numero 20, che portò la nazionale di calcio italiana al titolo mondiale nel 1982 in Spagna. E da quell’immagine si ricompone l’Italia del “vecio” Enzo Bearzot, di uomini tutto di un pezzo, i Zoff, i Gentile, i Cabrini, i Collovati, i Bergomi, gli Antognoni, i Tardelli, e avanti ancora con gli Oriali, i Graziani, Scirea, Bruno Conti, i nomi con cui ricomporre quel mosaico di colori brillanti e vivi che tra tensioni e polemiche, dopo un inizio da brivido, costruì un capolavoro di gioco e di risultati. Di quel capolavoro, Paolo Rossi, morto stanotte a 64 anni, dopo una lunga battaglia contro il tumore, fu la luce più intensa, quella che ruppe il buio attorno ad una nazionale su cui in quel momento pochi avrebbero scommesso.
A scommettere che l’Italia era diversa e forte, che si sarebbe giocato le sue chances nella seconda fase del Mundial, in un girone di ferro con Argentina e Brasile, furono invece proprio loro, i calciatori. Testardi, coriacei, sodali. Insieme al commissario tecnico Enzo Bearzot si chiusero in un mutismo ermetico, da cui poteva filtrare una sola voce: quella del capitano Dino Zoff. Come a dire, un ossimoro. Così, dopo la vittoria sull’Argentina di Diego Armando Maradona, nel pomeriggio del 5 luglio 1982, Paolo Rossi diede il via alla corrida tutta azzurra che matò il toro brasiliano del filosofo Socrates, delle stelle Falcao, Cerezo, Zico, Junior, di un undici, di una squadra che appariva in quel momento la predestinata alla vittoria finale.
Fu una partita da cardiopalmo, combattuta fino all’ultimo secondo, e la memoria, per chi ha ancora impresso con un brivido quei fotogrammi, non è retorica. Paolino Rossi portò l’Italia in vantaggio per due volte e per due volte il Brasile, attaccato ai nostri polpacci come Gentile lo era a quelli di Zico, ci riprese. La terza no: i carioca non si arresero, è vero, e se non ci fosse stata una strepitosa, ancora incredibile, parata di Zoff negli ultimi minuti, la storia avrebbe potuto correre anche su un altro binario. Ma quello era il binario su cui il treno azzurro non si sarebbe più fermato. E su quel binario, fu Paolo Rossi a mettercelo. Aveva agito d’istinto, come il più grande predatore del goal, sullo scambio giusto al momento giusto.
Quel 5 luglio divenne la sera dell’Italia e soprattutto la notte di Rossi, che divenne Pablito, che risuscitava nelle piazze, nelle fontane, nella gioia di un popolo intero, dopo l’ombra del calcio scommesse che per quasi due anni l’aveva accompagnato e messo ai margini delle cronache domenicali. Quello che accadde dopo, sembrava già scritto: Polonia e Germania, in semifinale e in finale non furono che comprimarie. E non potevano che essere tali. Paolo Rossi continuò infatti a segnare e l’Italia intera si ritrovò al Santiago Bernabeu di Madrid nell’esultanza del suo presidente Sandro Pertini. Immagini a colori indelebili, che continueranno a far battere il cuore a più generazioni. Grazie Pablito, sei stato davvero grandioso.
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