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Stefano E. Rossi

Volkswagen, una crisi che fa paura a tutti

Aggiornamento: 4 nov

di Stefano E. Rossi



Angst, in tedesco vuol dire paura. Una delle ragioni per cui ritornare sulla parola con la quale martedì scorso il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha aperto la prima pagina sulla crisi dell'azienda automobilistica Volkswagen, letteralmente vettura del popolo, 120 mila dipendenti: tre stabilimenti da chiudere su dieci in Germania.

O forse no, perché si è subito aperta una trattativa con il Governo, apertamente critico sulle passate decisioni del management.

Un taglio immediato delle retribuzioni del 10 percento e licenziamenti. O forse no, perché il sindacato promette scioperi a partire dal primo dicembre, giorno di scadenza del contratto collettivo e termine del cosiddetto “obbligo di pace”.


Serrato confronto sindacale

I protagonisti di questa storia hanno avviato da inizio settimana un accanito confronto. Sono l’agguerrita sindacalista Daniela Cavallo, presidente del Consiglio di fabbrica generale e di gruppo, di origini calabresi, il capo negoziatore Arne Meinswinkel, delle Risorse Umane, il CFO Arno Antlitz e il Ministro dell’Economia e Vicecancelliere Robert Habeck. È in gioco il futuro dell’automotive tedesca, il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori, la stabilità economica delle loro famiglie e, a stretto giro, quella delle altre 300 mila del gruppo occupate sul territorio tedesco.

Usare la scure per intervenire sui costi, però, sembra essere la strada obbligata che dovranno seguire i vertici Volkswagen. Di fronte a loro c’è la crisi dell’intero settore automobilistico occidentale, dalla quale fino a un recente passato sembravano essere immuni, ma che ora è arrivata prepotentemente anche a Wolfsburg.

Manco a dirlo, le cause sono ancora una volta da attribuire alla concorrenza cinese. Il Celeste Impero ha un marchio in forte crescita: BYD. Già a una quota del 5% dopo il primo anno nel mercato automobilistico europeo, la casa del Dragone punta ora a una crescita esponenziale, nonostante la recente imposizione dei dazi, grazie a prezzi di vendita estremamente convenienti nei comparti ibrido ed elettrico. Tornando alle vendite del gruppo tedesco, se queste nel complesso non procedono molto bene, ancor peggio vanno quelle nel mercato cinese. Si stima che a fine anno le esportazioni in Cina scenderanno di oltre 200 mila unità rispetto alle consegne del 2023. Una singola notizia positiva c’è e riguarda i nuovi modelli, che sono molto richiesti e registrano performance di crescita a due cifre. Però, Il quadro complessivo presenta un conto preoccupante: -250 mila auto vendute nei primi nove mesi del 2024, -0,5% i ricavi, -63,7% l’utile su base annua.

La ricetta è, quindi, quella di intervenire sull’over-produzione con chiusure progressive di stabilimenti, congiuntamente al recupero di competitività sul prezzo di vendita, a scapito dei lavoratori con una decisa riduzione del salario unitario.


Ripercussioni in Italia

Noi, in Italia, guardiamo a questo semi-inaspettato scenario teutonico con un incuriosito interesse e anche con una buona dose di preoccupazioni. Queste ultime derivano dal fatto che, sin dalla metà degli anni novanta, il distretto dell’auto nostrano aveva iniziato a stringere collaborazioni con i marchi tedeschi, traendo nuova linfa per contrastare la perdurante crisi domestica dell’auto. I dati ANFIA, la filiera dell’indotto dell’automotive, evidenziano che le esportazioni verso quell’area sono sempre cresciute e, ad oggi, corrispondono al 20,1% del fatturato complessivo, la fetta più grossa tra tutti i partner stranieri. Adesso c’è il timore, se non la certezza, di subire gli effetti anche di questa crisi.

La curiosità, se così si può definire, riguarda invece le misure che verranno adottate per la composizione di una crisi imprenditoriale. Specie nel campo della meccanica, l’industria tedesca ha sempre rappresentato un modello che ammiriamo e con il quale ci confrontiamo per rivaleggiare. Quindi, anche sul fronte delle scelte imprenditoriali, governative e sindacali viene da chiederci se verranno tracciate nuove strade o se verranno replicati schemi già noti.

Se guardiamo a quello che è successo da noi dopo decenni di crisi e nonostante il sostegno delle sovvenzioni e degli ammortizzatori sociali, incontriamo scelte industriali che hanno prodotto salari fortemente ridimensionati rispetto alla media europea, precarietà e lavoro in subappalto, perdita occupazionale per la chiusura delle linee con maggiori livelli produttivi e anche perdita di competitività per la delocalizzazione dei modelli ritenuti strategici.

All’insegna della ricerca del prezzo di vendita più competitivo, è questo lo scenario che sembrerebbe meglio interpretare la ricetta proposta dal management tedesco. E allora, volendo proseguire nell’imitazione, la dirigenza VW potrebbe pure misurarsi con il trasferimento della sede ai fini fiscali, le fusioni e i cambi di governance, lo sradicamento delle competenze professionali, l’interruzione del legame con il territorio e il disimpegno valoriale, la limitazione e poi il completo abbandono delle linee con marchio di prestigio, come potrebbe avvenire qui per Lancia.


Le insofferenze del mercato azionario

Sempreché la politica non intervenga facendo leva dall’interno dell’azienda e, per contrastare i piani del management, utilizzi la propria presenza in Consiglio di Sorveglianza. Infatti, in virtù di una partecipazione pari al 20% delle azioni, detenute dallo stato federale della Bassa Sassonia, due seggi sono in mano pubblica.

È il soccorso che invoca la sindacalista Daniela Cavallo, vera figura centrale di questa storia, la quale, con il suo indiscusso carisma, lunedì scorso ha velocemente raccolto davanti ai cancelli di Wolfsburg migliaia di dipendenti Volkswagen. Dopo aver sbattuto la porta al tavolo dei negoziati, nel bel mezzo della trattativa si è affacciata in piazza e, in un comizio appassionato, ha rivelato ai lavoratori tutti i dettagli del piano di ristrutturazione, chiedendo loro di mobilitarsi e suscitando l’attenzione mediatica. Molto continuerà a ruotare intorno alla sua figura.

E infine ci sono i mercati azionari. Per adesso sembra che stiano a guardare. Ma Volkswagen ha già scontato in anticipo i segnali di crisi, con una discesa del corso dell’azione del 30% nei recenti mesi estivi. Però, nonostante questa settimana il titolo abbia mantenuto il proprio valore, la finanza, senza dirlo troppo sottovoce, sul punto dell’influenza pubblica ha già iniziato a far trapelare le proprie insofferenze.

Il braccio di ferro è appena iniziato e preme con forza sul fragile tavolo della vita di molte persone e di un pezzo importante dell’economia europea. Se poi consideriamo che, delle imprese di componentistica italiane, una su tre è in Piemonte, le conseguenze di questa fragilità sono molto più vicine a noi di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

 


 

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Fotografia puntuale sulla crisi in atto in VW e sui risvolti in casa nostra.

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