Verso il 25 Aprile: la Resistenza nelle Valli valdesi
di Piera Egidi Bouchard
Il “Diario partigiano”[1] di Ada Gobetti si apre il 10 settembre 1943 con il transitare in Torino di una fila di automobili tedesche, a cui segue la notizia di un autocarro carico di SS che stava puntando verso casa loro, poi l’ansia della folla che non capiva e s’interrogava sulle notizie contradditorie che si accavallavano, gli alleati della Wermacht che diventavano i nemici, le donne che corrono alle caserme, gridando ai soldati “consegnati”: ‘Scappate! Tornate a casa, da vostra madre! Non vorrete mica farvi prendere dai tedeschi!’, “E i soldati guardavano, tentati e incerti – annota Ada -: come orientarsi in questo mondo in sfacelo in cui anche gli ultimi punti fissi di disciplina, di patriottismo, d’onore, già vacillanti da tempo, crollavano ora tragicamente?”.
Così inizia la tragedia italiana dell’8 settembre ’43 – di cui quest’anno ricorrono gli 80 anni - col nostro esercito in sfacelo, senza capi, senza ordini, le caserme circondate dai nazisti, 600 mila o forse più soldati e ufficiali catturati e deportati nei lager in Polonia e Germania; i pochi che poterono fuggire, d’istinto scapparono nei monti portandosi le armi, e fu l’inizio della Resistenza partigiana.
La “scelta” di cosa fare fu perlopiù fortuita - ne parlano tutti i protagonisti che potei intervistare – e lo racconta bene Roberto Malan[2], che fu poi comandante di “Giustizia e Libertà” (GL) nelle Valli valdesi e in Valsusa. A Pinerolo - subito occupata dai nazisti, che risalgono verso le Valli -, mentre il colonnello raduna il battaglione nel cortile della caserma, invitando a consegnare le armi ai tedeschi, lui salta sul muretto dal quale l’altro aveva finito di parlare, e arringa i soldati: ”La situazione non è come vi è stato detto, la situazione è un’altra! Io vi dò un consiglio... non perdete un minuto... prendetevi un mulo e una mitragliatrice, prendete quello che volete, ma sparite da questa caserma il più presto possibile! Io farò così!“ E su una bicicletta, senza neanche tornare indietro a prendere le sue cose, fugge per vie traverse verso Torre Pellice, dove già un gruppo, guidato da Mario Rollier, aveva cominciato a raccogliere ed ammassare le armi abbandonate. Trovare un deposito sicuro- mi disse - fu il suo primo compito nella Resistenza.
L’occupazione militare delle Valli valdesi fu immediata e durissima, e nelle varie vallate si formarono diversi gruppi: a Rorà, Luserna e in pianura i Garibaldini, in Valpellice e Val Chisone i “GL”, poi gli Autonomi con Ettore Serafino. Io ho avuto l’onore e il privilegio di poter conoscere e intervistare molti di loro[3]: i capi, ma anche le staffette partigiane come Frida Malan, gli intellettuali come Gustavo Malan, e i “bocia”, i giovanissimi, allora neanche diciottenni tuttora viventi, come l’ attuale presidente Anpi di Torre, Giulio Giordano, “Giulietto”, che non mancherà anche quest’anno di aprire le Celebrazioni del 25 Aprile con un suo discorso, ardito e franco come sempre, parlando a braccio, senza un appunto.
Le popolazioni valdesi furono immediatamente pro Resistenza; i loro figli e nipoti erano in montagna, e i pastori ci ritrovavano i loro catecumeni, e li appoggiavano in mille modi; i valdesi erano stati vessati durante la dittatura fascista, e avevano nella teologia - e nel dna della resistenza millenaria a tante persecuzioni – l’insegnamento della libertà del cristiano, della scelta, della coscienza. E fin dalle leggi razziali del ‘38 proteggevano e poi nascosero in molti modi nelle famiglie e nelle case pastorali gli ebrei. Il comune di Rorà ebbe dal presidente Carlo Azeglio Ciampi la medaglia al Valore civile, su richiesta dei sopravvissuti della Comunità ebraica di Torino.
Ci furono molti martiri, di cui il più famoso è Guglielmo, detto Willy, Jervis (nella foto a lato), insignito della medaglia d'oro al Valor militare –, catturato dalle SS italiane, che avevano la loro sede a Luserna, torturato, fucilato e impiccato con quattro altri ignoti sulla piazza di Villar Pellice[4]: orrendamente sfigurato – racconta Giorgio Bouchard - il pastore potrà riconoscerlo dalla Bibbia che si era buttato dietro le spalle scrivendo con uno spillo intriso di sangue una famosa frase per la moglie - riportata ora sulla semplice pietra - monumento nel luogo dell’esecuzione - : “Non compiangermi, non chiamarmi povero. Muoio per aver servito un’idea”.
Ma anche Valdo Jallà, impiccato al balcone del municipio di San Germano: “Salì sullo sgabello con molta dignità – ricorda Giorgio Bouchard, allora adolescente (era del ’29) - nonostante le esortazioni a parlare da parte nazista non disse nulla. Aveva 18 anni. La corda si strappò, e lui cadde; c’era l’uso che se si strappava la corda l’impiccagione veniva sospesa. Il pastore Gustavo Bertin, che sapeva il tedesco, scongiurò in ginocchio l’ufficiale nazista: invano. Il ragazzo si rialzò, senza dire una parola, e fu impiccato:”[5]
Ma anche il mite predicatore metodista Jacopo Lombardini, toscano di Carrara, antifascista perseguitato, pestato , “punito“ con l’olio di ricino ingurgitato a forza, riparato a Torre Pellice, dove insegnò al Collegio valdese e fu maestro di Giorgio Bouchard che lì studiava, e che varie volte lo ricorda nella sua formazione. Richiesto di predicare a San Germano – ricorda Giorgio - poi “Mia mamma lo invitò a pranzo, e lì durante lui disse: ‘Ci sono questi giovani in montagna che rischiano la vita contro il nazismo: io sono tenuto ad andare con loro. Pregate per me, pregate per loro.’”. Andò in montagna coi suoi studenti GL: senza armi, come guida spirituale, cappellano di fatto, potremmo dire. Fu catturato, deportato a Mauthausen e lì gasato – dramma nel dramma - proprio il 25 aprile 1945 . “Testimone e vittima – afferma Giorgio Bouchard - La sua storia è gloriosa ma triste: quando a Cinisello stavamo aprendo la scuola, le ho dato il suo nome su richiesta del sindaco socialista che mi disse: ‘Datele il nome di un vostro santo...’”. Teologicamente gli evangelici non hanno i santi in senso cattolico, perché tutti i credenti sono “santi”, chiamati alla fede e alla sequela dal sangue di Cristo; ma hanno i testimoni, che ricordano laicamente e onorano, ed è significativo che ora il Collegio Valdese in cui Lombardini insegnò a tanti giovani, altri giovani tanti anni dopo - con i loro docenti e preside - pongano una domani, venerdì 21 aprile, la “pietra d’inciampo” in sua memoria.
Note
[1] Ada Gobetti, Diario partigiano,Einaudi,1996
[2] P. Egidi Bouchard, “Frida e i suoi fratelli- Il romanzo della famiglia Malan nella Resistenza”,Claudiana,2003
[3] P. Egidi Bouchard, “...Eppur bisogna andar...Testimoni della Resistenza” Claudiana,2005
[4] Giorgio Bouchard,”I valdesi e l’Italia – Prospettive di una vocazione”, Claudiana,1988
[5] P. Egidi Bouchard, “Maestri – Incontri significativi nella vita di Giorgio Bouchard”, Nuova Trauben,2020.
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