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SETTIMANA FINANZIARIA. GB, acquisti auto nella bufera

Oggi oltre Manica, domani anche in Italia?

a cura di Stefano E. Rossi


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Prende forma lo scandalo dei prestiti auto nel Regno Unito. Oltre due milioni di compravendite all’anno erano gravate da spese accessorie e da tassi d’interesse maggiorati. In questo modo, si mascherava il compenso al concessionario auto per la sua attività di collocamento del finanziamento. L’autorità inglese per la concorrenza e la tutela dei consumatori (FCA - Financial Conduct Authority) sta risalendo indietro negli anni. Approssima ad un numero di ben 14 milioni i prestiti in grado di soddisfare i criteri di richiesta di rimborso. Per quelli ancora in essere, sarà prevista una compensazione sulle rate a venire. Per tutti, il ristorno potrà raggiungere la cifra di 950 sterline per ogni finanziamento oggetto di contestazione (1.100 euro). L’obbligo di rimborso partirà già dal prossimo anno.

Le banche e le finanziarie coinvolte tremano. Hanno finora accantonato oltre 2 miliardi di sterline (oltre 2,3 miliardi di euro) per il rischio di risarcimento e per eventuali spese processuali. Più di tutte, è la Lloyds Bank ad essere pesantemente colpita. Ha dichiarato di aver messo a riserve 1,15 miliardi di sterline. Tra gli altri figurano anche Santander (£ 295 milioni), Barclays (£ 90 milioni) e FCE Bank, che è la finanziaria della Ford (61 milioni di sterline). La prassi oggetto del rilievo è oggi divenuta illecita.

L’authority britannica non si è sottratta alle richieste di motivare il suo intervento sanzionatorio e normativo, difendendone il proposito. È a garanzia, si legge, dell'integrità del mercato dei finanziamenti automobilistici, affinché funzioni bene per i consumatori futuri. Se non un presagio, questa vicenda è sicuramente un monito del quale far tesoro nel nostro Paese, dov’è quasi impossibile acquistare un’automobile senza l’obbligo del finanziamento.

 

Risale la produzione industriale in Europa

In Europa resta fermo al 2,0% il Depo Rate (abbreviazione del Deposit Facility Rate, il riferimento che, da venticinque anni, ha sostituito il nostro caro, vecchio tasso di sconto della Banca d’Italia). Il quadro economico complessivo fa presumere che questi livelli di remunerazione resteranno invariati ancora per un lungo periodo. E mentre la Bce lascia i tassi invariati e lancia la palla nella metà campo americana, la Federal Reserve è chiamata a riunirsi. La prossima settimana al Martin Building di Washington si svolgerà il più atteso dei suoi appuntamenti: la prima riduzione dei tassi dell’anno. Si stima che sarà del -0,25%, forse il primo assaggio di una lunga serie, come ha da mesi tanto caldeggiato il Presidente Trump.

La produzione industriale dell’Unione Europea risale. Per il mese di luglio, le stime la portano a un +0,3%. Solo la Francia è in controtendenza (-1,1% mensile). Complice la recente sfiducia al governo e la perdurante instabilità politica, si sta candidando a diventare la nuova zavorra comunitaria. La Germania, invece, sembrerebbe aver trovato la sua via d’uscita dalla crisi economica. Lo proverebbero sia il rialzo della produzione di luglio (+1,3% mensile, +1,5% base annua), sia la revisione del consuntivo di giugno, corretto da -1,9% in -0,1%. In questo panorama sorprende il +0,4% di un’Italia che, pur con le sue fragilità, riesce a ben figurare rispetto alle altre.


Prosegue il balzo in alto dell'oro

L’oro continua la sua corsa, inanellando una serie di nuovi massimi storici. Chiude la settimana a 3.650 dollari l’oncia, senza mostrare segni di cedimento. Si rimpolpano di altri lingotti le riserve auree di alcuni Stati, per prima la Cina, mentre il settore dell’oreficeria soccombe in tutto il mondo per l’azzeramento della domanda di gioielli. Troppo cari. Dallo scorso mercoledì, per la prima volta nella storia, l’oro è arrivato a costare oltre 100 euro al grammo.

Il petrolio greggio questa settimana fa venire il mal di mare. Sale e scende tutti i giorni, ma mai sotto 1,61 dollari al barile, definibile come una solida base di rimbalzo, come si è confermata per tutta l’estate. Infine, il cambio euro dollaro, che resta ancorato a 1,17 euro.

 

Piazza Affari rialza la testa

Trainata dal settore finanziario, la Borsa fa sentire la sua voce. Martedì Banca Mps conquista Mediobanca e, mercoledì, attira l’interesse degli investitori su tutto il comparto. Salgono tutti i titoli bancari, ognuno per le proprie motivazioni. Bper Banca (+7,61%) e Popolare di Sondrio (+8,31%), dopo l’opas della prima sulla seconda conclusasi all’80,7% dei consensi, si avviano alla fusione entro il primo semestre 2026. Banco Bpm (+9,26) ha in serbo un accordo con Credit Agricole. L’istituto francese, con una mossa degna di un abile spadaccino, prima para un colpo e poi affonda il tiro. Aveva chiesto alla BCE l’autorizzazione di salire oltre il 20% per contrastare l’ops di Unicredit. Adesso, scampato il pericolo, non nasconde di voler salire in Bpm al 35% per integrare le attività svolte in Italia da entrambe le reti.

Avendo nominato Unicredit, ci dedichiamo pure a lei. Non sfugge come anche la banca guidata da Andrea Orcel benefici del ciclo favorevole ai titoli bancari (+2,74). Risale dopo essere stata sulle montagne russe sia per le vicissitudini tedesche di Commerzbank, che la stanno contrapponendo al governo di Berlino, sia per quelle dell’offerta ostile su Banca Bpm, fallita per le discusse interferenze del governo di Roma.

Restiamo sempre in banca, ma spostando lo sguardo al settore della tecnologia e le infrastrutture dei pagamenti digitali. Chi ci troviamo? Nexi. Che paura! Un crollo improvviso e forse imprevisto ha caratterizzato la quotazione del titolo dopo il taglio, da parte di Barclays Research, del target price (la quotazione ottimale). Alla società viene imputata l’adozione di un sistema distributivo inefficace, di fronte a una concorrenza fintech sempre più agguerrita.


Mps-Mediobanca, si va ai "tempi supplementari"

Ma per tornare allo sportello e quindi alla scalata di Banca Mps a Mediobanca, è bene ricordare che gli esiti non sono ancora definitivi, perché il percorso e i tempi dell’opas, l’offerta pubblica di acquisizione e scambio, non si sono ancora chiusi. Dovremo perciò attendere una nuova riapertura, dal 16 al 22 settembre, concessa dalla Consob per l’ultimo rilancio dell’offerta. La banca senese cercherà di approfittarne per superare la soglia dei due terzi del capitale sociale e ottenere il controllo dell’assemblea straordinaria. Da lì alla fusione il passo sarà breve. Invece, l’ipotesi di andare oltre il 90% pare lontana. A tale livello conseguirebbe il delisting, cioè la scomparsa dalla borsa valori di Milano del titolo Mediobanca. Ma prima o poi avverrà e per la nostra economia avrà il sapore della perdita di uno dei principali attori, che hanno accompagnato e indirizzato le vicende di borsa (e non solo) dal dopoguerra fino a oggi. Una storia d’Italia che i grandi nomi della finanza hanno scritto a piazzetta Cuccia, caratterizzandola di un intenso vissuto, talvolta scomodo, talvolta opaco.

 

Il Borsino della settimana – rassegna dei migliori e dei peggiori titoli del listino FTSE MIB.

I Tori: Banca Mps +14,09%, Mediobanca +13,49%,

Gli Orsi: Nexi -11,68%, Campari -8,33%

FTSE MIB: +2,30% (valore indice: 41.607)42.566

 

I presenti commenti di mercato rivestono un esclusivo scopo informativo e non intendono costituire una raccomandazione per alcun investimento o strategia d’investimento specifica. Le opinioni espresse non sono da considerare come consiglio d’acquisto, vendita o detenzione di alcun titolo. Le informazioni sono impersonali e non personalizzate.

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