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Segnali di estremo pericolo: sui social l'odio al top per le donne

Rosanna Caraci

Aggiornamento: 4 feb

di Rosanna Caraci


Si chiama dream gap e potrebbe essere tradotto come disparità tra i generi di diritto ai sogni: a cinque anni una bambina comincia a capire che per lei sarà più difficile, che non ha pari opportunità e a sognare per sé una vita come quella dei bambini. Capisce che sarà più difficile e che viene vista, comunque in modo diverso anche dai suoi stessi genitori. Non solo banalmente dai regali scelti per lei, dal colore degli abiti, ma dalle ambizioni che si hanno per il suo futuro.

“Sei una femmina”, viene detto dai primi anni d’età e ben presto quello che è un genere diventa un limite e una referenza negativa anche per sognare ciò che si vorrebbe diventare. Le bambine smettono di credere di poter essere o fare tutto ciò che desiderano e vengono risucchiate in un fenomeno definito Dream Gap. Quest’anno Barbie inizierà a lavorare per chiuderlo e ha lanciato una campagna di sensibilizzazione. La casa produttrice della bambola più famosa del mondo si è fatta carico di parlare alle famiglie e alle scuole anche attraverso uno spot che mette proprio le bambine al centro, con i loro desideri e la loro richiesta, al mondo adulto fatto di padri, madri, genitori, fratelli e futuri capi, di vederle per come sono: un’opportunità. Al di là del proprio genere.


Algoritmi schiacciati sul maschile

Di genere, linguaggio, etica e intelligenza artificiale si è parlato di recente nel convegno organizzato da Fidapa “Verso un linguaggio consapevole: rispetto e innovazione in AI, comunicazione ed educazione”, cui hanno partecipato imprenditrici, giornaliste, insegnanti. Tutte unite a sottolineare, rispetto al linguaggio consapevole nell’educazione contemporanea, che una riflessione è doverosa a partire dalla grammatica che diventa alibi per nascondere sentimenti misogini e paura del cambiamento. Se ci si mette poi anche l’intelligenza artificiale, che dovrebbe essere propedeutica a un futuro illuminato e libero dai luoghi comuni, dagli stereotipi di genere parla al maschile, capiamo che anche la tecnologia rema contro all’abbattimento del cosiddetto gender gap.

Solo il 22 per cento dei professionisti che operano nell’intelligenza artificiale sono donne. La stessa tecnologia, come ha sottolineata l’avv. Manuela Monti, è declinata al maschile se immaginiamo come l’utilizzo delle voci preregistrate ad esempio per applicazioni o servizi quali Alexa o Siri sia femminile per dare al contesto nel quale vengono usate un tono più caldo, accudente, accogliente.

La donna è ancora assimilata al concetto di “cura” e  protezione. L’algoritmo è esso stesso ingabbiato in un processo di pregiudizi e discriminazione se si pensa che l’intelligenza artificiale a una richiesta di creazione di immagine di ingegnere crea quella di un uomo anziano, bianco e con gli occhiali, se invece domandiamo un infermiere, senza specificarne il genere, l’immagine creata sarà quella di una donna. Del resto, la macchina non comprende l’etica e si comporta “replicando” di fatto l’intelligenza umana che l’ha concepita.

Dall’utilizzo del femminile per declinare parole e professioni che si sono sempre e solo declinate al maschile, sdoganando l’idea che la grammatica non lo consenta perché al contrario lo permette, fino al ruolo che hanno i media, il marketing e la politica, si è riflettuto su quali sono oggi gli attori principali che possono condurre un’operazione di ammodernamento della nostra civiltà per l’abbattimento del gap tra i generi. Il mondo non declina al femminile, hanno osservato congiuntamente la giornalista Nicoletta Boldrini, la comunicatrice Serena Fasano e l'imprenditrice Manuela Blanco, e quando lo fa è spesso per convogliare rabbia e frustrazione. Lo prova il settimo rapporto di Vox, Osservatorio nazionale sui diritti, a cui la consigliera regionale e insegnante Nadia Conticelli fa spesso riferimento nel suo intervento.

Per il settimo anno consecutivo, in base alla “Mappa dell’intolleranza” nel 2022, ultimo anno preso in esame dal sondaggio, le donne svettano quale categoria più odiata via Twitter (ora X). È un triste primato, che si accompagna all’innalzamento dei picchi di odio in concomitanza con i femminicidi, segno tragico del rapporto sempre più stretto tra lo sciame d’odio online e la violenza agita.

Ciò è conferma purtroppo della pervasività di un clima di intolleranza, capace di innescare dinamiche violente nei confronti delle vittime. Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming, molti attacchi hanno avuto poi come contenuto la competenza e la professionalità delle donne stesse. È il lavoro delle donne, dunque, a emergere quale cofattore scatenante lo hate speech misogino, a conferma di una tendenza già rilevata in passato.

Le offese che ricorrono più spesso sono quelle rivolte alla sfera sessuale o della “dignità” della donna, epiteti noti che proprio per dignità sono da cassare. C’è poi un altro genere di insulto che è quello legato a relegare la donna negli ambienti in cui, secondo gli odiatori, merita di rimanere: “Torna a lavare ai panni” o “Vai a stirare”. L’universo femminile per gli odiatori è circoscritto tra la camera da letto e i lavori di casa.

Le destinatarie di questi messaggi sono soprattutto donne che esercitano un qualsiasi tipo di potere, sia esso politico o economico. La stessa azione che scatena l’aggressione online nei confronti di una donna, se agita da un uomo non provoca la stessa reazione.

Secondo l’indagine condotta da Vox nel 2022 ben 280.332 sono stati i tweet rilevati contenenti termini sensibili al cluster misoginia. Le donne rappresentano un obiettivo di messaggi d’odio che non solo si conferma nel corso degli anni, ma che a livello geografico è diffuso in tutta Italia, seppur con zone a più alta intensità come le città di Bologna, Firenze, Roma e più in generale il centro Italia.


Porre un argine

E sempre più urgente la necessità di educare all’uso dei social network e di ripensare le relazioni fra mass-media, piattaforme social e utenti, al fine di prevenire forme sempre più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti come i femminicidi o i sempre più frequenti attacchi di bullismo. Questo lo è ancora di più a fronte del capovolgimento di priorità alle quali assistiamo dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Basti pensare al cambio di rotta nelle politiche sull’inclusione del gruppo Meta che introdurrà modifiche sostanziali nelle politiche di moderazione dei contenuti del gruppo che possiede, tra le altre cose, Facebook e Instagram. 

La più importante riguarda l’abolizione del programma di fact checking che Meta aveva introdotto nel 2016, giusto qualche settimana dopo la vittoria alle elezioni presidenziali di Trump, per limitare la diffusione di notizie false e contenuti offensivi sui propri social network, ma in particolare su Facebook. Come non dirsi poi seriamente preoccupati di fronte alle intenzione del presidente argentino Milei di cancellare il femminicidio dal codice penale in quanto "distorsione del concetto di uguaglianza” e di fatto negando l’aggravante dell’uccisione di una donna soprattutto perché tale, drammatico e ultimo esito di un processo di annientamento all'interno del contesto della violenza di genere.

Alla base c’è il lavorando per una pari opportunità di genere in ogni direzione e in ogni ambito, educando sé stessi, la nostra scuola, la nostra politica e traducendo il ruolo della donna e la sua potenzialità nella cultura di un paese che è ancora fortemente patriarcale. Non lo si fa solo agendo sull’ultima vocale delle parole, a volte forzando violentemente sulla fonetica di termini che la nostra lingua, non avendo il neutro, ci ha obbligato a metabolizzare nei secoli come maschili.

Lo si fa con una visione ampia e profonda del mutamento culturale, guardando al passato come testimonianza e al presente come opportunità per migliorare quanto, nel futuro, dovrà accogliere i nostri figli e le nostre figlie nel modo più inclusivo possibile.

Tutti possono e devono fare la propria parte, non rinunciando mai alla coerenza del messaggio e della responsabilità che si sceglie di condurre. Se si vuole riconoscere alle nostre figlie il pari diritto al sogno e alla retribuzione è urgente un forte scossone alla nostra cultura con il coraggio di guardare oltre a un mondo che non è più quello del nostro passato, forse rassicurante ma non per forza il migliore possibile.

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