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Rallentare per un mondo diverso

Aggiornamento: 9 apr 2023

di Luca Rolandi

Ci sono immagini che resteranno per sempre nella mente e nel cuore di ognuno di noi giovani, adulti, anziani, ricchi e poveri, fortunati e sfortunati. Le immagini per le nostre comunità saranno le bare allineate e composte, trasportate su camion militari trasportate da Bergamo verso crematori lontani e le immagini di metropoli e paese, città e cittadine vuote, come se fosse esplosa una bomba H, quella che secondo la fantascienza e l’insana produzione bellica e strategia distruttiva del tempo della Guerra Fredda doveva lasciare le cose intatte e uccidere gli uomini (possibilmente all’interno delle loro case). Dopo gli inni e canti, il tutto andrà bene, ora è il momento del dolore e della solidarietà. Non si placa il dolore e sebbene qualche segnale di inversione di tendenza sia in atto, ciò che sta accadendo, ora, in questo tempo, in questo anno 2020, produrrà qualcosa di inedito, dal punto di vista sociale, economico, politico ma ancora più in profondità: antropologico e ontologico. Sono i volti che parlano, quelli esanimi in cerca di pietas religiosa o laica dentro le bare, quelle dei malati intubati, quelle dei medici, degli infermieri, di tutto il personale e i lavoratori che sono fuori, dunque al fronte, contro il nemico invisibile, che però è dentro di noi. Le questioni geopolitiche, la difficile gestione nazionale, il “Dopoguerra coronavirus” saranno analizzati e ognuno cercherà, con responsabilità, di fare il proprio dovere, magari ispirandosi a coloro che oggi sono in prima linea, ma saranno le relazioni stesse tra uomini a mutare profondamente, a riprendere un confronto a distanza che partendo dall’Io di ognuno si espanderà al Tu e al Noi. I termini sono definiti distanza e prossimità. Indicatori sociologici e studi scientifici, e sentimento comune prospettano solo un graduale ritorno alla normalità. Ma quale normalità? Quella che ha globalizzato il mondo frantumando ogni barriera economica, anche attraverso l’impetuoso sviluppo tecnologico, senza però trasformare questo in un processo di democratizzazione internazionale e superamento delle disuguaglianze, oppure quella che ha portato ad una mobilità positiva e ad un melting pot di culture e tradizioni? Il virus, a sua insaputa, ha fatto e sta facendo saltare tutte queste certezze, opzioni, ipotesi ideali, progettuali. Tutto dentro la contraddizione insanabile tra vita e morte, distanza e prossimità, realtà e mistero. Resta una ipotesi che sintetizzo nel verbo rallentare. Oltre i predicatori della decrescita felice e ai paladini senza macchia e senza paura dello sviluppo illimitato contro ogni necessario rispetto dell’ambiente. Rallentare come respiro, ragionamento, pensiero e silenzio introspettivo, laico e religioso. Sarà necessaria una comprensione esistenziale che ci riporta ad una dimensione di fragilità e vulnerabilità. Prendersi cura gli uni degli altri è il senso stesso del vivere e del farsi prossimo (prossimità). Pensare ai più deboli e vulnerabili, agli anziani, a chi sta lottando contro le malattie, ma anche a coloro che sono senza lavoro, senza protezione, a chi si trova in difficoltà economiche, smarriti e soli anche se ricchi di cose materiali. La distanza e la prossimità in modo combinato ci chiedono di sostenere chi si sta prendendo cura dei malati, della nostra salute e della nostra sicurezza, chi deve continuare a lavorare mettendo a rischio la propria vita, chi deve prendere le decisioni più difficili. Essere responsabili e solidali non sono parole vuote o echi di un passato. Pensarci come una comunità, per prenderci cura anche degli altri e non solo di noi stessi. “Per fermare il coronavirus dovremo cambiare radicalmente quasi tutto quello che facciamo: come lavoriamo, procediamo con l’esercizio fisico, socializziamo, come ci dedichiamo allo shopping, gestiamo la nostra salute, educhiamo i nostri figli, ci prendiamo cura dei nostri familiari”. Sono queste alcune delle più significative frasi estrapolate da un’analisi di Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review (il magazine della prestigiosa università americana) dedicato ai cambiamenti nella vita personale e nel mondo del business che la pandemia finirà per cristallizzare anche dopo che sarà attenuata. “La maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito, e lo farà presto, che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più”.


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