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PUNTURE DI SPILLO. Il piano Mattei per l’Africa: "not in my name..."

Aggiornamento: 8 feb

a cura di Pietro Terna

 

Enrico Mattei,[1] se fosse vivo, griderebbe not in my name ogni volta che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo cita[2] per proporre un sedicente piano per l’Africa chiamato con il suo nome. Mattei – un grande imprenditore pubblico, un grande tessitore con piani di straordinaria lungimiranza – è chiamato in causa per far dimenticare che solo pochi mesi fa si blaterava di blocco navale e di una barriera invalicabile tra l’Africa e noi. Ora tutti a Roma, con la signora Ursula von der Leyen a stipulare una polizza di assicurazione per continuare la sua non così luminosa conduzione della Commissione europea; polizza da far valere se il vento della destra sarà molto forte al Parlamento Europeo. Ma lo sviluppo dell’Africa è un processo endogeno con cui mettersi in sintonia, non una passerella per i fotografi dopo una cena di rappresentanza al Quirinale.


Cercando che cosa dicono i quotidiani del 30 gennaio, giorno successivo all’evento, diamo un’occhiata a quelli che stanno fuori di casa: leggiamo che «Meloni svela il piano per espandere l'influenza italiana in Africa - Un piano di aiuti alle economie africane per frenare l'immigrazione clandestina dal continente» sul Guardian[3] e che «La leader italiana Meloni presenta un piano per promuovere lo sviluppo dell'Africa e frenare la migrazione» sul Washington Post:[4] entrambi sottolineano lo stop all’immigrazione come obiettivo. Le Monde[5] parla di progetti pilota, con il piano nel suo insieme ancora sconosciuto. I progetti pilota vanno dalla creazione di un centro agroalimentare in Mozambico, allo scavo di pozzi nella Repubblica del Congo, alla partecipazione a un programma di purificazione dell'acqua in Etiopia e allo sviluppo dell'industria dei biocarburanti in Kenya. Tutto bene, vedremo tra qualche anno, ma un po’ poco per chi «intende trasformare la penisola italiana in un hub energetico che colleghi le risorse africane ai mercati europei».[6] Ancora meno per chi vuole fermare l’immigrazione e nulla per chi pensa al sistema Africa-Europa del futuro.

 Il severo Washington Post annota: «Meloni ha dichiarato che il vertice è stato un primo passo di successo e gli alti funzionari europei e delle Nazioni Unite hanno affermato che il piano italiano, con una dotazione iniziale di 5,5 miliardi di euro, completerebbe le iniziative già in corso incentrate sull'adattamento al clima e sullo sviluppo di energia pulita in Africa. Ma il presidente della Commissione dell'Unione Africana,[7] Moussa Faki Mahamat, è stato più cauto, affermando che i Paesi africani avrebbero voluto essere consultati prima e non volevano altre promesse vuote». Essere consultati prima, che sberla: un passo di questo genere non si inventa chiacchierandone con il sottosegretario Fazzolari, cui pare spetti il merito, si fa per dire, di aver tirato in causa il nome di Enrico Mattei.

Proprio l’improvvisazione e la mancanza di relazioni stabili e costruttive fece sì che i comici russi che tesero lo scorso anno il tranello telefonico a Meloni potessero spacciarsi, si disse, per il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani, favorevole al piano italiano, mentre abbiamo visto che non lo è il presidente della Commissione dell'Unione Moussa Faki, ora definito da Meloni “quello vero” scherzando con i giornalisti.


Controlliamo se il New York Times tratta la vicenda romana. Il motore di ricerca del giornale porta a una pagina del 31 ottobre 1962 con la notizia[8] della morte di Mattei. Il breve resoconto fa impressione, facendoci comprendere in poche righe come fosse radicalmente diviso quel mondo; val la pena leggerlo online o nella figura. La conclusione indica quanto gli americani ammirassero e temessero il personaggio: «Mattei offre possibilità affascinanti a un biografo, ma è già evidente che l'Italia non sarà più la stessa per come Enrico Mattei ha vissuto e lavorato».[9]

Torniamo alla proposta Meloni: i nostri 5,5 miliardi, non aggiuntivi ma già precedentemente destinati a conversione energetica e cooperazione allo sviluppo, sono noccioline a fronte dell’iniziativa europea[10] Global Gateway che di miliardi ne mobiliterà a centinaia e soprattutto tiene conto della presenza in Africa della Cina, contrapponendole esplicitamente l’azione europea. La Cina inonda il continente di infrastrutture, finanziandole direttamente[11] e diventando così un minaccioso creditore per numerosi Stati. Dal canto suo, la Russia è presente con i mercenari della Wagner in vari conflitti, con la capacità di quei signori della guerra di trasformarsi in proprietari del patrimonio minerario. L’assenza della Nigeria a Roma potrebbe essere spiegata dagli accordi militari proprio con la Russia: la Nigeria è di gran lunga la maggiore realtà del continente (215 milioni di abitanti), nonché origine di molti dei flussi migratori aborriti dalla destra. Si tratta, ad esempio, della maggiore presenza africana a Torino.

 Riflettiamo ancora sul legame tra la nostra azione economica e l’emigrazione: certo non si può immaginare che i problemi dell’Africa si risolvano con i trasferimenti dei loro giovani in Europa, impoverendo ancora di più le aree di provenienza, ma considerare che i nostri progetti possano avere un effetto minimamente positivo in tempi rapidi, è solo velleitario. Dobbiamo progettare insieme il futuro, loro e nostro, imparando mutuamente gli uni dagli altri. Mi permetto un rimando a uno spillo[12] del luglio scorso, intitolato “Gettiamo lo sguardo sul Mondo, non ci siamo soltanto noi”. Meglio ancora: siamo in tanti e diversi, ma complementari.

Ecco allora che il nostro piccolo baccelliere di musica parte da Vienna per parlarci d’Africa. A Vienna, il 7 luglio del 1932, nacque Josif Erich Zawinul. Sei mesi dopo, con l’ascesa di Adolf Hitler al cancellierato tedesco, sarebbe incominciata la grande tragedia del Novecento. Zawinul a sei anni ricevette una fisarmonica. Il piccolo Josif presto cominciò a sperimentare con i registri. Di sperimentazione in sperimentazione, si appassionò al jazz. Nel 1959, con una borsa di studio della Berklee School, approdò negli Stati Uniti, a Boston, per studiare il pianoforte. Seguirono numerose collaborazioni, con Maynard Ferguson, Ben Webster, Cannonball Adderley, e poi con Miles Davis. Insieme a Wayne Shorter, altro davisiano, Zawinul, ormai diventato Joe, fondò i Weather Report, che rivoluzionarono il linguaggio del jazz rock. Era diventato un maestro delle tastiere elettroniche, di cui curava la programmazione, un po’ come aveva fatto con i registri della fisarmonica. Il suo fu un viaggio a ritroso verso l’origine del jazz. La sua musica è un’esemplificazione dell’eterno ritorno all’Africa. Morì nel 2007. Aveva 75 anni ed era ancora nel pieno dell’attività. Una esecuzione[13] di Madagascar, del luglio 2007, rappresenta l’apice della sua ricerca. Il meticciato accosta Africa e Danubio in un connubio originale e meraviglioso.


Note

[3] «Meloni to unveil plan to expand Italian influence in Africa - Scheme to help African economies aimed at curbing illegal migration from continent», https://www.theguardian.com/world/2024/jan/29/meloni-to-unveil-plan-to-expand-italian-influence-in-africa 

[4] «Italian leader Meloni unveils plan to promote Africa development and curb migration at summit», https://www.washingtonpost.com/world/2024/01/29/italy-africa-migration-summit/5e49d49a-be8a-11ee-a4c6-8f5c350e9316_story.html 

[6] Sempre da Le Monde, «(…) entend faire de la péninsule italienne un « hub » énergétique entre les ressources africaines et les marchés européens.»

[9] «Mr. Mattel offers fascinating possibilities to a biographer, but even now it is clear Italy will not be the same because Enrico Mattei lived and worked as he did».


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