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Punture di spillo: Generali, esempio di democrazia economica e politica?

a cura di Pietro Terna|


Con questo articolo, a cura di Pietro Terna, la Porta di Vetro apre una nuova rubrica dedicata alle vicende economiche. L’appuntamento a cadenza settimanale, si affianca alle già note rubriche “Il taccuino politico della settimana” e “Il Mappamondo”, la prima firmata da Claudio Artusi, l’altra da Pierfranco Viano.

Si dice che sia esistito un tempo in cui le vicende delle aziende quotate in Borsa andavano più o meno così. Se gli azionisti di maggioranza scelgono manager capaci, siano loro stessi o dei professionisti, si registreranno buoni risultati di gestione, il valore delle azioni aumenterà e sarà difficile “scalare” l’azienda. In assemblea, i manager capaci saranno confermati. Se invece i manager scelti non hanno qualità, per effetto dei risultati negativi le quotazioni delle azioni cadranno e chi ha un progetto migliore per il futuro dell’azienda potrà farsi avanti, acquistare le quote di cui molti vorranno disfarsi e conquistare la maggioranza in assemblea, per cambiare il management e l’indirizzo della gestione. Si chiama (chiamava?) democrazia economica. Se dedichiamo attenzione alle vicende intorno alla formazione del nuovo Consiglio di amministrazione delle Generali non troviamo nulla di simile, ma un groviglio di mosse e contromosse, realizzate anche giocando di sponda con una normativa sofisticata che, nata per tutelare il risparmiatore, può anche essere utilizzata come elemento strategico per rafforzare le operazioni dell’una e dell’altra parte. Qualcuno ha coniato la definizione di “capitalismo senza i capitali”: si tratta di una forma che alla fin fine indebolisce anche la democrazia vera e propria, chiamata a guidare le scelte fondamentali della politica.

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