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"Puntiamo sulla partecipazione per trasformare il nostro Paese"

di Laura Pompeo*


Come si gestisce la complessità e la velocità di questo complicato periodo storico? So bene quale sarà la risposta dei lettori: è una domanda da un trilione di dollari... Giusto. Ma proprio per questo motivo, non si può lasciare fuori dal dibattito pubblico le persone, i gruppi, le comunità, se assecondiamo la basilare considerazione che tutti noi ci troviamo a vivere in una fase di enorme cambiamento demografico, tecnologico, ambientale e climatico, nonché della produzione di valore economico che richiede il massimo della partecipazione. Ed è da questo assunto, che ritengo prioritario per la politica, che ha preso corpo una riflessione, influenzata, a distanza di settimane, da un incontro pubblico a Torino con il professor Enrico Giovannini, economista, ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili nel Governo Draghi (2021-2022) e ministro del lavoro e delle politiche sociali nel Governo Letta (2013-2014)[1] . 

In quella circostanza, nella veste di moderatrice dell'incontro, sono partita dal programma di Giovannini, uno dei più imponenti della storia del nostro Paese, per lo sviluppo delle infrastrutture. Oggi, ad oltre un anno da quella programmazione, i dati evidenziano un percorso di accelerazione in cui sono entrate le opere pubbliche per favorire e disegnare nel medio una nuova competitività territoriale. A questa crescita, contribuisce largamente il PNRR, insieme con altri programmi avviati in precedenza. 

Tutto bene, dunque? Sì, ma, però..., classici avverbi d'obiezione, più che giustificabili nel caso dell'Italia, che ancora si ritrova in una fase di sviluppo non sostenibile, di alto rischio e bassa resilienza. La ragione è facile, in questo caso, da comprendere: si continua ad utilizzare un modello socio economico superato e inadeguato rispetto agli imponenti sommovimenti che si susseguono (in primis il cambiamento climatico) all'interno di uno scenario internazionale imprevedibile e non governabile con gli strumenti tradizionali (in primis la diplomazia) in cui sono diventate preminenti le guerre come soluzione dei contrasti e le migrazioni come effetto ravvicinato, in particolare dall'Africa.

Ma andiamo in ordine di priorità. Uno dei temi che dovrà impegnare il nostro paese per i prossimi venti o trent’anni è la rigenerazione urbana e delle attività produttive, condizione sine qua non per evitare il collasso (anche finanziario) delle nostra città e avviarle a una trasformazione ecosostenibile che punti a migliorare mobilità e qualità della vita. Già questo motivo dovrebbe indurre chiunque governi a investire nelle politiche urbane sui binari dell’agenda 2030: le città devono essere sostenibili e resilienti.

Di qui, la sottolineatura che il PNRR - come ha osservato Giovannini - non è una politica macroeconomica di iniezione di denaro, ma lo strumento o uno degli strumenti tra i più rilevanti per rendere resiliente il paese, con la funzione - non marginale - di attrarre capitale umano, far crescere talenti per la ricerca e per l’innovazione, per sviluppare la dimensione aziendale e per essere più competitivi.

In altri termini, quello proposto dal Piano nazionale di resistenza e resilienza è uno schema mentale che va utilizzato anche per altri fondi: non si può più fingere che il futuro sia un meraviglioso progresso, quando invece “cigni neri” sempre più frequenti dichiarano altro[2]. Bisogna preparare i cittadini, lavorare sulla società civile, prevenire, proteggere, fondare la politica sul principio dell’intelligenza collettiva, sapendo che i processi  trasformativi sono quelli più difficili da attuare. E’ una  grande occasione, anche se oggi sta diventando una sorta di pungiball di e per molti. 

Tutto ciò si deve coniugare con un'accelerazione delle politiche industriali. Torino, per esempio, si sta  liberando dal modello One  Company Town e mira a investere maggiormente nella robotica, nell’ aerospaziale, nella meccatronica. In tutto ciò l’Unione Europea gioca un ruolo importante: ha aperto la strada, ora deve accelerare, e l’Italia deve essere parte di questo processo. L’agenda 2030, adottata nel 2015, è l’utopia da perseguire.  


*Assessore alla Cultura della Città di Moncalieri (Torino)


Note


[1] L'incontro è stato organizzato dal Pd di Torino. Enrico Giovannini è professore ordinario di Statistica economica all’Università di Tor Vergata. È co-fondatore e Direttore scientifico dell'Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile - ASviS,  rete di oltre 300 soggetti della società civile. È membro di numerosi board di fondazioni e di progetti di ricerca internazionali. È stato per anni Chief Statistician dell'OCSE; presidente dell' ISTAT dal 2009 al 2013; docente di Sviluppo sostenibile presso l'Università LUISS e la Scuola Nazionale di Amministrazione (SNA). Di recente ha pubblicato per i tipi Laterza I ministri tecnici non esistono”, che promuove la tesi sulla necessità di ascoltare, di lavorare con la società e prepararla ai cambiamenti, di abbattere la sfiducia andando verso i cittadini, di mettere in atto politiche trasformative, di costruire modelli socio-economici sostenibili e equità tra le generazioni.

[2] Durante l’incontro si è fatto anche cenno  all’ottavo Rapporto ASviS “L’Italia e gli obiettivi di sviluppo  sostenibile”, appena pubblicato, che evidenzia progressi e ritardi del nostro Paese verso il raggiungimento dei 17 goal dell’agenda 2030 e identifica gli ambiti in cui bisogna intervenire per assicurare la sostenibilità economica, sociale e ambientale del modello di sviluppo. Per consentire all’Italia di attuare l’Agenda 2030, firmata da 193 Paesi delle Nazioni Unite, è necessario infatti modificare significativamente le politiche pubbliche, nazionali ed europee, le strategie del settore privato e i comportamenti individuali e collettivi. L’urgenza  è dettata dalle numerose crisi, a partire dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina,  ora anche da quella in MedioOriente, che hanno pesato e pesano negativamente sugli sforzi fatti dal 2015 a oggi.

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