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Non lasciamo Papa Francesco solo

Aggiornamento: 4 ott 2022

di Michele Ruggiero


Nell'articolo di Luca Rolandi[1] risuona la forza morale di Papa Francesco, del pastore che armato unicamente della sua parola e della sua fede non rinuncia a difendere il suo gregge dall'assalto dei lupi. Perché sono lupi coloro che oggi respingono la pace, cancellandone il significato più profondo e ancestrale che rimane quello di guardare diritto negli occhi e chiamare fratello un proprio simile.


Papa Francesco è solo, ma non rinuncia a camminare. Glielo impone il suo magistero e lo soccorre, anche nei momenti più difficili - e sono stati tanti in questi anni di pontificato - il suo amore per l'umanità. Un amore che lo spinge a condannare chi ha aggredito (Putin), ma che ad un tempo lo sospinge a invocare dall'aggredito (Zelensky) la rinuncia al grido di vittoria per far prevalere la ragione e la disponibilità alla trattativa.

L'amore che traspare dalla sua voce è quello di chi rifiuta la superficialità e l'indifferenza con cui si parla di guerra e del potere distruttivo delle armi finalizzate all'annientamento del pianeta. Superficialità di chi si arroga il diritto di sostenere che il fine giustifica sempre i mezzi, dimenticando la verità contraria, che sono i mezzi a giustificare il fine. E dinanzi alla macellazione a cielo aperto di vite umane che si consuma ogni giorno, dal 24 febbraio scorso in Ucraina, è insensata e folle l'indifferenza con cui si accoglie il crescendo militare che suggerisce come mezzo risolutivo della guerra l'uso dell'arma atomica.


Mezzo che sarà anche risolutivo, ma che ha come i medicinali potrebbe avere anche un effetto collaterale letale: la scomparsa della presenza umana sulla Terra. Allora perché non trasformare la risoluzione distruttiva in incontro per la salvezza dell'umanità? Si tratta di sedersi a un comune tavolo e discutere fino allo sfinimento pur di trovare una soluzione.


Del resto, come Gesù che caccia i mercanti e i cambiavalute dal Tempio (Vangelo secondo Matteo) - "La mia casa sarà chiamata casa di orazione, ma voi ne avete fatto un covo di ladroni" - così Papa Francesco non esita a puntare il dito contro produttori e pusher di armi che poggiano le loro fortune e i loro dividendi su morte e distruzione, su dignità calpestate e violate, su manipolazione e corruzione della realtà. Di riflesso, la sua accusa corre alle inazioni dei governi che sono partecipi della gestione e degli stessi profitti.


Oggi come ieri, si dirà. Vero, ma c'è un'aggravante sostanziale: la corresponsabilità sempre più evidente di narcotizzare le masse con una rappresentazione della guerra da "Risico", da videogiochi, da cartone animato, da film epico, con il fianco della menzogna o mezze verità coperto da dibattiti surreali e autoreferenziali, in cui persone a dir poco singolari si autopromuovono ora strateghi, ora navigati diplomatici, ora generali e ammiragli con egocentrico protagonismo.


Ma la guerra non è un fumetto: è sangue, dolore fisico e psichico, privazioni, uccisione di giovani, carne da macello da una parte e dall'altra spinta ad odiarsi. Sono giovani ucraini e russi che non meritano di morire per l'ambizione di chi soffia sulla guerra. Non lasciamo Papa Francesco solo. E oggi a percepire questo rischio è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che da Assisi, per la festa di San Francesco, patrono d'Italia, ha rilanciato il diritto alla pace, "diritto iscritto nelle coscienze, che rappresenta l'aspirazione più profonda di ogni persona".


L'umanità non si deve arrendere alla logica della guerra, ha detto ancora il Capo dello Stato, che ha avanzato la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra per avviare il dialogo e interrompere la spirale di violenza e di distruzione. Ma ora, mentre da radio e telegiornali si annunciano "mobilitazioni nucleari" e si rischia di arrivare al punto di non ritorno, tocca ai cittadini rifiutare la guerra e contrapporre alla logica della morte una generale e collettiva "mobilitazione per la pace" per non lasciare Papa Francesco solo.


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