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Monsù Travet va in Tv... e l'onorevole Fanfani si prende la Dc

di Michele Ruggiero


Alle 17,30 del 3 gennaio del 1954, settant'anni fa, nel primo giorno di trasmissioni televisive, la Rai mandava in onda il film Le miserie del signor Travet diretto nel 1945 da Mario Soldati, scrittore e regista torinese, protagonisti Carlo Campanini, Gino Cervi, Alberto Sordi e Vera Carmi. Tratto da una delle commedie agrodolci in dialetto piemontese di maggior successo della seconda metà dell'Ottocento, portata sul palco del Teatro Alfieri il 4 aprile del 1863, Le miserie 'd monssù Travet è un testo che piega con forme ironiche e grottesche la rappresentazione di un ambiente ritagliato dalla feconda mente di un autore che aveva culturalmente incarnato il Risorgimento, Vittorio Bersezio, giornalista poliedrico e fondatore della Gazzetta Piemontese.

Pièce fortunata, perché con Travet, pubblicata in italiano nel 1871, Bersezio impone nell'immaginario collettivo l'eponimo di grigio e patetico impiegato, scrupoloso e rigoroso nel rispetto dei doveri, un dagherrotipo arrivato fino ai giorni nostri. Monssù Travet, infatti, cade nel rispetto estremo e male interpretato della carta dei doveri, che lo porta a subire le angherie del suo superiore, salvo poi ribellarsi per difendere la sua dignità e l'onorabilità della moglie, la giovane e avvenente Rosa, che nella trama diventa la leva da cui il protagonista trae linfa per scrollarsi di dosso la presenza vessatoria del suo capo ufficio.

Bersezio, torinese d'adozione e Soldati, torinese di nascita, per l'esordio del cinema nella televisione nata a Torino. Un caso? Forse. All'opposto, casuale e privo di rilevanza era sicuramente il luogo di nascita dell'uomo al vertice Rai, Carlo Filiberto Guala, nato a Torino nel 1907, ingegnere, cattolico, vicino alle posizioni di Amintore Fanfani, l'astro dominante della Democrazia cristiana con la sua corrente Iniziativa democratica, che proprio in quel gennaio del 1954 tentava senza fortuna di formare il suo primo governo. Una battuta d'arresto che non gli pregiudicò di stravincere a Napoli il congresso del suo partito (26-29 giugno 1954) e di esserne eletto segretario nazionale il 16 luglio, con 59 voti favorevoli e 12 schede bianche, imbucate dall'opposizione sindacalista di matrice cislina e organizzata dal suo onorevole e segretario generale Giulio Pastore e dal sempre prudente onorevole Giulio Andreotti.

Quello fu il giorno dell'eclissi politica e anche fisica (muore un mese dopo, il 19 agosto) di Alcide De Gaspari, relegato alla carica onorifica di Presidente dello stesso Consiglio nazionale. La sconfitta subita alle elezioni del 1953 passate alla storia come il voto contro la famosa "Legge truffa", aveva segnato il destino del presidente del Consiglio della Ricostruzione e accelerato la sostituzione del vecchio gruppo dirigente democristiano di area centrista con il ricambio generazionale che guardava risolutamente a sinistra. Ma alla sinistra sociale-economica, forse, ma non quella politica, fu invece l'opinione che espresse i politici dei partiti laici, alludendo al mantenimento di un clericalismo soltanto mascherato dell'avvento di esponenti meno dogmatici dell'Azione cattolica rispetto alla destra conservatrice della Dc, all'ombra di Papa Pio XII.

Il "passaggio dei poteri" comunque, fu interpretato da Amintore Fanfani, poco incline a fare prigionieri in politica, in forma assoluta. Sia la segreteria, sia la direzione di partito furono messi sotto lo stretto controllo della corrente di Iniziativa. Cominciava così la stagione fanfaniana che avrebbe segnato la storia della Rai negli anni a venire.

Una storia dagli inevitabili chiari e scuri, comunque da leggere in positivo sotto la gestione di Carlo Filiberto Guala, figura autorevole nel rimandare al Paese l''impronta di una Rai pulita e riluttante a "suggerimenti" che ne potessero limitare il mandato. Guala, il cui consigliere spirituale era stato monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, fu nominato ufficialmente amministratore delegato il 24 luglio con decreto ministeriale del giorno successivo che recepiva la deliberazione del consiglio di amministrazione dell'Ente avvenuta il 3 giugno. Democratico e anticomunista, ma dotato di sagace lungimiranza, il neo amministratore delegato aprì le porte dell'Ente (com'era chiamata la Rai per legge) a un nutrito gruppo di neo laureati che premiava l'estrazione cattolica, ma non precludeva le posizioni del pensiero laico, convinto della missione culturale che doveva esprimere l'azienda per migliorare gli italiani. Se non addirittura, parafrasando Massimo D'Azeglio, per "fare" gli italiani attraverso il video, con una concezione che aveva il suo pilastro nella qualità dei programmi e nella progressiva crescita intellettuale del servizio pubblico. In questa chiave si possono leggere le assunzioni, che nei decenni di memoria, di ricordi e testimonianze si sono accavallati sugli anni pionieristici della Rai, di personaggi della caratura di Umberto Eco, Furio Colombo, Gianni Vattimo, Enrico Vaime, Folco Portinari, talenti autentici della nostra cultura. Lo stesso consiglio d'amministrazione della Rai era formato da figure di elevato livello professionale e culturale, dal presidente Antonio Carrelli, direttore dell'Istituto di fisica dell'Università di Napoli, all'ingegner Giovanni Battista Vicentini, cattolico, già presidente dell'Azione cattolica, esperto della comunicazione e futuro presidente del quotidiano l'Avvenire nel 1968, nominato direttore generale, dopo nove anni di interrotta gestione di Salvino Sernesi, in quel ruolo dal lontano 9 settembre del 1945. Giovanni Battista Vicentini si dimise il 30 giugno del 1956 e nel ruolo gli subentrò Rodolfo Arata, giornalista e direttore de Il Popolo, il quotidiano della Dc. Al suo posto arrivò Ettore Bernabei che nel 1961 diviene direttore generale di Viale Mazzini.

A Guala, come ad altri che lo seguirono, i gruppi dirigenti del Paese chiesero di risolvere nel migliore dei modi la duplicità (ambivalenza) dei media, l'essere cioè mezzi di intrattenimento e di informazione, e di favorire senza distorsioni la convivenza di un media "maturo" come la radio con uno "rampante" come la televisione, cercando di realizzare un'auspicabile sinergia. Guala non si tirò indietro. Cattolico intransigente e cristiano con una visione ascetica della fede lavorò per costruire un'azienda di sani principi. Ci riuscì, almeno per la parte che si richiamava alla qualità del prodotto e non solo fino a metà del 1956, quando fu costretto alle dimissioni. Sotto quel profilo, infatti, si deve riconoscere che fino all'arrivo delle televisioni commerciali il monopolio della Tv di Stato si rivelò un prerequisito solido per conservare e difendere la ricerca di standard qualitativi sempre elevati della produzione e della programmazione.





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