La logica perversa del consumismo che porta Satnam alla morte
di Sergio Cipri
Quella di oggi, sabato 22 giugno, è una manifestazione che Cgil e Flai-Cgil (Federazione Lavoratori Agro Industria) hanno organizzato alle 17 in piazza della Libertà a Latina, dopo l'atroce morte del bracciante indiano Satnam Singh "per chiedere dignità, rispetto per la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori e l’impegno di tutte le istituzioni, le forze politiche e sociali nel contrastare lo sfruttamento, il caporalato e le condizioni disumane, spesso avvallate da norme che alimentano la clandestinità, in cui sono costrette a lavorare le persone nel settore agricolo e non solo".
La comunità indiana dell'Agro Pontino conta circa 12 mila persone e continua a vivere in condizioni avverse, ma mai, come ha dichiarato nei giorni scorsi il suo presidente Gurmukh Singh, "avremmo pensato di trovarci di fronte a un atto di questa ferocia".
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, nelle ore immediatamente successive alla notizia, ha dichiarato: "Siamo di fronte a un atto di vera e propria schiavitù, un lavoratore morto, un lavoratore in nero, è di una gravità senza precedenti. Sembra quasi normale che uno fa impresa con degli schiavi. La follia è questa. Aziende come queste vanno chiuse, va impedito che possano continuare a lavorare”.
Invece, accade esattamente il contrario. E non a caso, perché tutto ha una logica perversa (e disumana), come osserva Sergio Cipri nel suo articolo.
L’ingresso in un supermercato alimentare, di ritorno da un viaggio in qualche paese dell’Africa equatoriale, è sempre per me un misto di imbarazzo e vergogna. Decine di metri di celle frigorifere ripiene di centinaia di tipi e marca di yoghurt. E così via per ogni immaginabile tipo di cibo. Studi scientifici, oggi supportati dalla inevitabile IA, studiano l’allestimento dei banchi in modo da attivare il desiderio compulsivo di afferrare e riempire il nostro carrello.
La nostra bulimia da paesi ricchi non è giustificata dalla necessità: lo spreco alimentare dell’Occidente è pari ogni anno alla produzione di cibo dell’intera Africa [1].
La nostra filiera alimentare non ha, come sarebbe ovvio, l’obiettivo primario di garantire alla popolazione il giusto livello di approvvigionamento di cibo. Come tutte le attività della nostra civiltà avanzata persegue l’aumento indiscriminato dei consumi e il massimo profitto. Parlando di alimentazione, stiamo letteralmente divorando il nostro pianeta.
I prodotti alimentari devono essere disponibili in quantità illimitate, indipendentemente dai cicli stagionali e dalla provenienza geografica. Questo richiede una organizzazione a più livelli dei diversi passaggi dal campo al consumatore. Il massimo profitto è in mano alla grande distribuzione, multinazionali che manovrano flotte navali e aeree, movimenti di capitali, rapporti sovente opachi con governi e pubbliche amministrazioni.
Più ci si avvicina alla produzione primaria più si riducono le possibilità di fare profitti. La guerra dei poveri diventa necessariamente spietata e chi sta sopra, anche se in fondo alla catena, cerca di sfruttare chi sta sotto, in un processo di imbarbarimento dei rapporti sempre più disumano.
E così arriviamo a Satnam Singh, immigrato, lavoratore in nero, 5 euro/ora (forse). Ha avuto un incidente, un infortunio sul lavoro, braccio tranciato da una macchina. Gli avevo detto di fare attenzione, testone, avrà pensato il suo padrone. E’ diventato inservibile. Non c’è una discarica per gli umani guasti. E allora lo scarichiamo davanti alla porta di casa. Con il suo braccio si capisce.
C’è ancora spazio per la discesa nell’orrore? Nel nostro cervello primitivo la regola più potente è l’istinto di sopravvivenza. Il forte uccide il debole. C’è sempre spazio.
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